C’è chi lo ha già ribattezzato il “chip di Superman”. Il motivo? La sua capacità di conferire agli smartphone una sorta di “super vista”, che permette loro di vedere attraverso oggetti solidi come buste, pacchi o pareti. Una dote degna dell’Uomo d’Acciaio, che però in questo caso non nasce dai superpoteri di un alieno, ma dall’ingegno tutto terrestre di un team di ricercatori dell’Università di Dallas.
Dopo anni di studi e progressi, infatti, questi scienziati sono riusciti a miniaturizzare una tecnologia di imaging ad alta frequenza, rendendola compatibile con le dimensioni di uno smartphone. Il risultato? Un minuscolo chip grande appena mezzo millimetro, paragonabile a un granello di sabbia, illustrato in uno studio che vi linko qui. Ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze: questo concentrato di tecnologia promette di rivoluzionare il modo in cui interagiamo con il mondo che ci circonda. Dalla possibilità di “scannerizzare” il contenuto di una busta chiusa alle applicazioni medicali, passando per la ricerca di oggetti nascosti dietro i muri, le potenzialità sembrano infinite.
Scopriamo insieme come funziona.
Piccolo ma potente
Nelle minuscole dimensioni di un bruscolino finito nell’occhio del nostro supereroe preferito (Clark Kent porta gli occhiali e questi rischi non li corre) ci sono concentrati tre sensori capaci di emettere e ricevere segnali radio ad altissima frequenza, nella banda delle onde millimetriche.
Sì, lo so, sto iniziando a usare paroloni da nerd. Ma calma, non scappate: in soldoni, significa che questo affarino è in grado di “illuminare” un oggetto con una sorta di piccolo radar, per poi catturare il segnale di ritorno e usarlo per ricostruire un’immagine. Un po’ come fanno i pipistrelli con gli ultrasuoni.
Il bello è che per arrivare a queste dimensioni lillipuziane ci sono voluti ben 15 anni di ricerche. Una gestazione degna di un elefante, insomma. Ma ne è valsa la pena: rispetto ai primissimi prototipi, le prestazioni, dicono i ricercatori, sono migliorate di 100 milioni di volte. Un ordine di grandezza talmente smisurato che fatico a immaginarlo.
Super vista o Occhiali a Raggi X della rivistina anni ’70?
Veniamo al dunque: questo chip trasformerà davvero i nostri smartphone “Uomini d’Acciaio” tascabili? Beh, dipende da cosa vi aspettate. Se pensate di poter guardare attraverso i vestiti del vostro vicino di scrivania, mi spiace deludervi: non siamo (ancora) a quel livello di perversione tecnologica.
I limiti, infatti, ci sono eccome. Per cominciare, la “super vista” del nostro chip arriva al massimo a un centimetro di distanza. Quindi, a meno che non siate appassionati di microspionaggio postale, non aspettatevi di poter scandagliare il contenuto di una valigia dall’altro lato della stanza.
E poi, per essere ancora più precisi: qui non si tratta di veri raggi X, quelli che ti fanno vedere le ossa attraverso la pelle. Niente di così affascinante (o inquietante, a seconda dei punti di vista). Il nostro chip usa onde radio ad altissima frequenza, totalmente innocue per la salute umana. Niente rischi di mutazioni genetiche o di trasformarsi in un supercriminale calvo, insomma.
Certo, i ricercatori promettono che in futuro la distanza di scannerizzazione potrà aumentare fino a 5 centimetri. A quel punto potremo ficcare il naso in più cose, ma quel giorno non è oggi.
Usi (più o meno) pratici
Ma allora, a cosa diavolo serve questo chip miracoloso, se non a soddisfare la nostra innata pulsione da ficcanaso? Beh, a sentire i ricercatori le applicazioni pratiche della super vista per smartphone non mancherebbero. Per esempio, potremo usarlo per individuare tubi, cavi elettrici o crepe nascoste dentro i muri. Utilissimo se siete idraulici, elettricisti o aspiranti archeologi di condominio.
Oppure, potremo scannerizzare il contenuto di buste e pacchetti (sottili) sospetti, magari quelli recapitati per errore dal postino distratto. Così, potremo finalmente scoprire se lí dentro c’è la solita cartella di Equitalia o quell’antrace che il solito buontempone ci invia così, per giuocherellare.
E che dire delle potenziali applicazioni mediche? I nostri scienziati visionari prevedono che in futuro questo chip potrà essere usato per esami diagnostici non invasivi, un po’ come le TAC ma senza doversi sdraiare in quei tuboni claustrofobici. Certo, al momento la risoluzione è paragonabile a quella di un Game Boy in bianco e nero, ma ehi, l’importante è crederci.
Occhio alla privacy
Scherzi a parte: pur coi suoi limiti attuali, una tecnologia del genere solleva inevitabilmente qualche interrogativo sulla privacy. Insomma, sapere che il vicino di casa potrebbe arrivare a “spiarci” attraverso le pareti con il suo smartphone non è esattamente rassicurante. Anche se, visto il raggio d’azione limitato, dovrebbe praticamente strusciare il naso contro il muro per riuscirci. Un comportamento che, diciamolo, darebbe nell’occhio anche senza superpoteri.
Ma i ricercatori ci tengono a rassicurarci: il chip è progettato per funzionare solo a distanze ravvicinatissime proprio per evitare usi impropri. Niente scannerizzazioni furtive di tasche altrui, insomma. Al massimo, potrete usarlo per controllare se avete dimenticato le chiavi di casa nei pantaloni appena messi in lavatrice. Sempre che riusciate a infilare lo smartphone nel cestello.
Prospettive (semi)serie
Battute a parte, è innegabile che questa invenzione apra prospettive interessanti. Certo, siamo ancora lontani dall’avere uno smartphone con la super vista di Superman. E forse non ci arriveremo mai, visti i limiti fisici imposti dalle leggi della natura (e dalla decenza).
Ma l’idea di poter “aumentare” le capacità dei nostri dispositivi con sensori sempre più sofisticati è intrigante. A seguire le ricerche in corso, in futuro avremo smartphone in grado di annusare il cibo avariato nel frigo, di farci esami della vista, di sventare aggressioni e chissà che altro.
L’evoluzione tecnologica ci riserverà ancora molte sorprese. Tra una cosa e l’altra, al momento accontentiamoci di sognare e di spiare il contenuto delle buste con il vecchio, affidabile metodo della fiamma sotto la carta. Ma questa è un’altra storia, giusto?