Nel corso della storia i momenti di crisi hanno spesso messo alla prova i confini della libertà d’espressione, non di rado sfociando nella censura. La pandemia di Covid-19 non fa eccezione, ma questa volta il campo di battaglia è digitale.
Mentre Pavel Durov, CEO di Telegram, attende in Francia di conoscere il suo destino giudiziario, Mark Zuckerberg, il volto di Facebook e Meta, ci offre uno sguardo dietro le quinte di decisioni che hanno plasmato il nostro discorso online durante uno dei periodi più turbolenti della storia recente. Due storie parallele che sollevano interrogativi cruciali sulla libertà di parola nell’era digitale.
La “confessione” di Zuckerberg sulla censura social
Il CEO di Meta ha appena inviato una lettera al deputato repubblicano Jim Jordan, rivelando dettagli inquietanti sulle pressioni ricevute dalla Casa Bianca durante la pandemia di Covid-19. Zuckerberg ammette che l’amministrazione Biden ha ripetutamente esercitato pressioni per mesi affinché la piattaforma censurasse determinati contenuti relativi al Covid-19, inclusi umorismo e satira.
Cito dal testo (qui potete dare un’occhiata alla lettera per intero):
Alti funzionari dell’amministrazione Biden, inclusa la Casa Bianca, hanno ripetutamente fatto pressione sui nostri team per mesi per la censura di certi contenuti relativi al COVID-19, inclusi umorismo e satira, ed hanno espresso molta frustrazione verso i nostri team quando non eravamo d’accordo.
Un’ammissione tardiva (e interessata) ma significativa
Il fondatore di Facebook riconosce ora che queste pressioni governative erano sbagliate e si rammarica che Meta non sia stata più esplicita nel contrastarle. “Credo che la pressione del governo fosse sbagliata, e mi rammarico che non siamo stati più espliciti al riguardo”, afferma Zuckerberg nella lettera.
Questa ammissione solleva interrogativi importanti sulla linea di demarcazione tra la protezione della salute pubblica e la salvaguardia della libertà di espressione.
La pandemia è stata un caso di studio senza precedenti per la gestione dell’informazione in tempi di crisi. Le decisioni prese da piattaforme come Meta hanno avuto un impatto significativo sul discorso pubblico, influenzando potenzialmente la percezione pubblica della pandemia e le risposte ad essa. Non esagero se dico che hanno influito (resta da capire come) sul numero delle vittime così come delle persone salvate.
È una ammissione tardiva, che va osservata nel quadro della competizione elettorale negli Stati Uniti. Forse un assist nel tentativo di pararsi il colpo ed evitare ripercussioni in caso di elezione del candidato repubblicano, già espulso dai social di Zuckerberg (e non solo). Ad ogni modo, quale che sia l’intento dietro questa mossa, rileva la sostanza: quella di una manifesta attività di censura.
Il contesto più ampio: Durov e la libertà di espressione
Mentre Zuckerberg fa i conti con le decisioni passate di Meta, un altro gigante tech si trova di fronte a sfide simili, ma in un contesto “legale”. Pavel Durov, CEO di Telegram, è stato arrestato a Parigi, in un caso che rapidamente si è trasformato in un punto focale per il dibattito sulla libertà di espressione e sulla censura.
La coincidenza di questi due eventi mette in luce la complessità della gestione dei contenuti online e il delicato equilibrio tra sicurezza pubblica e diritti individuali.
Le rivelazioni di Zuckerberg e la situazione di Durov evidenziano una tendenza preoccupante: la crescente pressione sui giganti tech per controllare e moderare i contenuti online, spesso su richiesta dei governi. Questo solleva domande fondamentali sulla natura del discorso pubblico nell’era digitale e sul ruolo delle piattaforme social come arbitri dell’informazione.
Censura social: il futuro è più trasparente o più opaco?
L’ammissione di Zuckerberg potrebbe segnare un punto di svolta nella relazione tra governi e piattaforme social. C’è una crescente richiesta di trasparenza e responsabilità da parte di queste aziende, specialmente quando si tratta di decisioni che influenzano il discorso pubblico su larga scala.
Non so a voi, ma a me sembra sempre più chiaro che il bilanciamento tra sicurezza pubblica e libertà di espressione richieda un dialogo continuo e una vigilanza costante. Le ammissioni di Zuckerberg e le sfide legali di Durov ci ricordano che, nel mondo digitale, la libertà di parola è un ideale sempre più fragile.
Il futuro della libertà di espressione online dipenderà dalla nostra capacità di trovare un equilibrio tra questi interessi concorrenti, mantenendo al contempo l’apertura e la diversità che rendono Internet una risorsa così preziosa per l’umanità. O dovrei già dire “rendevano”?