Marte, il nostro enigmatico vicino cosmico, continua a stupirci. Un nuovo studio comparativo condotto da ricercatori italiani ha portato alla luce nuove evidenze che suggeriscono la presenza di antiche forme di vita sul Pianeta Rosso. Queste scoperte non sono semplici speculazioni, ma il risultato di un’analisi dettagliata di strutture sedimentarie complesse, sorprendentemente simili a fossili terrestri. Ma cosa significano realmente queste evidenze? Siamo davvero di fronte alla prova definitiva di vita extraterrestre, o c’è ancora spazio per il dubbio? Per immergerci insieme in questa affascinante ricerca ho intervistato il geologo Vincenzo Rizzo, uno dei co-autori della pubblicazione della quale potete leggere un estratto qui.
La ricerca di vita su Marte: un lungo viaggio
La ricerca di vita extraterrestre è da sempre uno degli obiettivi più affascinanti dell’esplorazione spaziale. Marte, in particolare, ha catturato l’attenzione dei ricercatori come potenziale culla di vita nel suo passato. Dal 2004, i rover della NASA hanno esplorato vaste aree della superficie marziana, raccogliendo una quantità impressionante di dati e immagini. Questi dati hanno rivelato l’esistenza di paleo-ambienti che potrebbero aver favorito lo sviluppo di forme di vita primitive.
Le microbialiti: il primo indizio
Uno degli elementi chiave in questa ricerca è stato lo studio delle microbialiti. Queste strutture sedimentarie, create da comunità di microrganismi, sono comuni sulla Terra e spesso associate a tracce di materassini microbici o a significative macrostrutture. Già nel 2009 alcuni studi avevano ipotizzato la presenza di strutture sedimentarie su Marte simili alle microbialiti terrestri. Tuttavia, queste prime osservazioni non furono considerate conclusive, data la possibilità di forme mimiche di altra natura.
Nuovo studio, nuove evidenze
Vincenzo Rizzo e Giorgio Bianciardi portano nuove e più solide evidenze a supporto dell’ipotesi di vita su Marte. Il cuore di questa ricerca è un’analisi minuziosa e comparativa di microfotografie di affioramenti sedimentari marziani e terrestri. Rizzo spiega: “La novità sta nella ‘Evidenza di Strutture Complesse’, di ordine millimetrico o centimetrico, che richiamano fossili terrestri, vagamente assimilabili ad alghe verdi o ad altri metazoi.” Queste strutture presentano tratti morfologici complessi e forme talora ben mineralizzate che ricordano da vicino antichi fossili terrestri.
Analisi dettagliata delle strutture sedimentarie
Come detto, lo studio condotto da Rizzo e colleghi si basa su un’analisi approfondita delle immagini ad alta risoluzione catturate dal Mars Hand Lens Imager (MAHLI) del rover Curiosity, dal Microscopic Imagery (MI) di Opportunity e Spirit e in piccola parte anche di Perseverance. Queste immagini, con una risoluzione fino a 14 μm/pixel, hanno permesso di esaminare in dettaglio le strutture sedimentarie presenti nella formazione Murray del cratere Gale. Particolarmente interessanti sono le strutture osservate nel sito Pahrump Hills, ai target Mojave e Mojave 2 (Sol 809 e 880), dove sono state rilevate microstrutture pervasive a forma di grani di riso, con dimensioni e forme paragonabili a quelle dei grani di riso terrestri. Queste strutture, inizialmente interpretate dalla NASA come cristalli pseudomorfici di solfato risultanti dall’evaporazione occasionale del lago, sono state oggetto di un’analisi più approfondita da parte del team di ricerca. L’analisi ha rivelato che queste strutture presentano caratteristiche morfologiche complesse, tra cui forme fusiformi, curvature e segmentazioni, che le rendono più simili a strutture biologiche che a formazioni minerali. Inoltre, la presenza di componenti organici complessi, come il tiofene, in associazione con queste strutture, è tra le evidenze che suggeriscono la possibilità di un’origine biologica.
Evidenze convincenti
Ciò che rende queste evidenze particolarmente convincenti è la loro complessità e specificità. Rizzo descrive alcune di queste strutture:
Si vedono forme, sono corpi mineralizzati di colore diverso e con strutture complesse che richiamano fossili terrestri. Per esempio, coni cavi e settati, di diversa composizione rispetto alla massa inglobante, disposti casualmente; coni che non possono essere riferiti alle espulsioni violente di aria a seguito di impatti meteorici, perché assolutamente non isorientati, ma caoticamente disposti.
Complessità e casualità nella disposizione rendono meno probabile che si tratti di formazioni puramente geologiche, aumentando la possibilità che siano di origine biologica.
Il dibattito scientifico
Naturalmente, queste scoperte hanno acceso un intenso dibattito nella comunità scientifica. Il coautore dello studio, il biologo Giorgio Bianciardi, sostiene che la presenza di strutture con tratti morfologici affini a fossili terrestri potrebbe rappresentare forme di evoluzione convergente, a partire da origini comuni diffuse nello spazio interstellare a causa della Panspermia1.
Tuttavia, come Rizzo stesso ammette, molti astrobiologi sono scettici riguardo alla teoria della panspermia. Il professor Roberto Barbieri, emerito dell’Università di Bologna, offre una prospettiva interessante:
Sappiamo dalla morfologia funzionale che certe forme sono preferite (e ricorrono spesso, lungo la stessa linea filetica o in altre) dalla vita perché, per ragioni diverse, risultano convenienti. Io ragionerei piuttosto su questo aspetto, facendo quindi un discorso di ‘stili’ o ‘categorie’ morfologici.
Implicazioni per la ricerca futura
Le implicazioni di queste scoperte per la nostra comprensione della vita nell’universo sono profonde. Se confermate, queste evidenze potrebbero dimostrare che la vita non è un fenomeno unico della Terra, ma potrebbe essere più comune di quanto pensiamo nell’universo.
Rizzo suggerisce che queste scoperte potrebbero influenzare le future missioni su Marte: “Siamo convinti che [queste strutture] siano presenti in altre aree di Marte, ma vista la loro rarità, suggeriamo di ritornare sui siti evidenziati per prelevare campioni da riportare a Terra per studi più dettagliati.”
Nonostante le evidenze, la cautela è d’obbligo
Nonostante l’entusiasmo, Rizzo e i suoi colleghi sono consapevoli delle sfide che queste scoperte comportano. “L’idea diffusa è che per provare la presenza di forme di vita extraterrestre, viste le rilevanze culturali che questa scoperta comporta, occorrano prove schiaccianti, inconfutabili, basate su tutte le tecniche di cui la Scienza oggi dispone,” afferma Rizzo.
Questa cautela è comprensibile, considerando la portata potenziale di tali scoperte. La conferma definitiva dell’esistenza di vita passata su Marte richiederebbe analisi più approfondite, possibilmente su campioni riportati sulla Terra. Quali sono le aree più adatte a questa raccolta di campioni? I siti potenzialmente fossiliferi, dice Rizzo, sono stati incontrati sia a Meridiani Planum (dal rover Opportunity) che nel Gale Crater (Curiosity).
Il futuro dell’esplorazione marziana
Mentre la comunità scientifica dibatte sulle implicazioni di questa ricerca, le agenzie spaziali di tutto il mondo stanno già pianificando le prossime missioni su Marte. L’obiettivo è chiaro: raccogliere prove più concrete dell’esistenza di vita passata o presente sul Pianeta Rosso.
La NASA, l’ESA e altre agenzie spaziali stanno sviluppando tecnologie sempre più avanzate per l’esplorazione marziana. Futuri rover e lander potrebbero essere equipaggiati con strumenti specifici per la ricerca di biomarcatori e per l’analisi dettagliata di strutture sedimentarie simili a quelle identificate in questo studio.
La ricerca di Rizzo e Bianciardi apre un nuovo capitolo emozionante nell’esplorazione di Marte e nella ricerca della vita nel cosmo. La possibilità di fossili su Marte può diventare una concreta ipotesi scientifica supportata da evidenze sempre più solide. Restiamo aperti alle possibilità, critici nelle nostre analisi e pronti a rivedere le nostre concezioni sull’universo e sul nostro posto in esso.
- La teoria della Panspermia suggerisce che la vita sulla Terra potrebbe essere arrivata dallo spazio. Secondo questa idea, microrganismi o molecole organiche potrebbero aver viaggiato su meteoriti o comete, “seminando” la vita sul nostro pianeta miliardi di anni fa. ↩︎