Un uragano devastante, un’azienda petrolifera e un’inchiesta giornalistica. Sembrano gli ingredienti di un thriller, ma è la realtà del giornalismo moderno. La decisione di Chevron di sponsorizzare le news sul clima all’indomani dell’uragano Helene ha scatenato un dibattito acceso sull’etica dell’informazione. Siamo di fronte a un caso di greenwashing o a una nuova forma di sostegno al giornalismo di qualità?
La linea tra informazione e pubblicità si fa sempre più sottile, mettendo in discussione i principi fondamentali del mestiere. In un’epoca in cui la verità è più che mai necessaria, come possiamo garantire che il giornalismo rimanga un baluardo contro la disinformazione?
Il giorno dopo la tempesta
Il 3 ottobre 2024, mentre l’uragano Helene si dissolveva lasciando dietro di sé una scia di distruzione, una newsletter della testata USA Politico pubblicava un articolo sulle terrificanti implicazioni dei disastri climatici. Il titolo era eloquente: “Nessun luogo è al sicuro dai disastri climatici”. Ma c’era un dettaglio che a tanti non è sfuggito: l’articolo era “presentato da Chevron”. E non è un caso isolato: il colosso petrolifero ha già messo annunci sul New York Times durante la Climate Week che si è tenuta nella Grande Mela, e ha sponsorizzato la newsletter sul clima di Axios. Una campagna mediatica massiccia che solleva interrogativi sulla relazione tra giornalismo e grandi corporation.
La giustapposizione tra le notizie drammatiche sugli effetti del cambiamento climatico e la sponsorizzazione di una delle più grandi compagnie petrolifere al mondo ha scatenato un’ondata di reazioni. Sui social media, giornalisti e attivisti hanno gridato allo scandalo. Ma cosa si nasconde realmente dietro questa controversa scelta editoriale?
Anchor, nasce la “trivellazione verde”
Al centro dell’uragano (questa volta mediatico) c’è il progetto Anchor di Chevron, un’iniziativa di trivellazione offshore ad altissima pressione che l’azienda sta promuovendo con molta “passione” come soluzione “a bassa intensità di carbonio”. Di che si tratta?
Il progetto Anchor fornisce petrolio e gas naturale a bassa intensità di carbonio per aiutare a soddisfare la domanda energetica.
Bruce Niemeyer, presidente dell’esplorazione e produzione petrolifera statunitense di Chevron, in un comunicato stampa.
Situato a 225 chilometri dalle coste della Louisiana, Anchor rappresenta un traguardo tecnologico impressionante. Per la prima volta, un’azienda petrolifera è riuscita a perforare in ambienti marini profondi con pressioni fino a 1406 kg per centimetro quadrato, un terzo in più rispetto a qualsiasi pozzo precedente.
L’azienda stima di Chevron stima che Anchor potrebbe produrre fino a 440 milioni di barili di petrolio nell’arco di 30 anni, ovvero la stessa quantità di emissioni di 499 impianti di gas metano in un anno. Ma questi milioni di barili sono solo l’inizio delle ambizioni dell’azienda; Chevron spera che Anchor sia il pioniere di un nuovo tipo di produzione petrolifera “amica dell’ambiente” che potrebbe produrre miliardi di litri di petrolio e gas da giacimenti ad altissima pressione in tutto il mondo.
La sottile linea tra informazione e pubblicità e i rischi nascosti dietro la retorica green
Mentre Chevron promuove Anchor come un progetto “sicuro” e “a bassa intensità di carbonio”, gli esperti sollevano preoccupazioni significative. Come detto, il progetto sta perforando a pressioni un terzo superiori rispetto a Deepwater Horizon1, la piattaforma responsabile di uno dei peggiori disastri ambientali della storia.
Kristen Monsell, direttrice legale degli oceani e avvocato senior presso il Center for Biological Diversity, ha criticato duramente il progetto:
Non c’è modo di rendere sicure le trivellazioni offshore, specialmente non progetti come questo che comportano perforazioni a tali profondità e sotto pressioni così elevate. E più le attività petrolifere e del gas si svolgono al largo, più difficili diventano le risposte in caso di fuoriuscite di petrolio o altri incidenti, come il disastro Deepwater Horizon evidenzia fin troppo bene.
Il futuro delle news sul clima e del giornalismo climatico
Come possono i media mantenere la loro integrità se dipendono finanziariamente da aziende che potrebbero avere interessi in conflitto con un’informazione obiettiva? E badate, non è un problema solamente americano. In Europa, semmai, è ancora più sottile, perché non ancora emerso del tutto.
Non esiste una risposta semplice a questa domanda, ma è chiaro che il giornalismo nell’era della post-verità e dei vari “washing” verdi, rosa, neri e arcobaleno si trova davanti all’ennesimo bivio. Da un lato, c’è la necessità di trovare modelli di business sostenibili in un’epoca di crisi per i media tradizionali. Dall’altro, c’è l’imperativo etico di fornire un’informazione accurata e imparziale2 su una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Retoricamente, ma in trasparenza, vi chiedo: quale delle due esigenze sta soccombendo, secondo voi?
News sul clima: una chiamata all’azione non solo per i lettori
Giornalisti, lettori e cittadini, tutti abbiamo un ruolo cruciale da giocare in questa sfida. Dobbiamo essere più attivi e più vigili che mai, esaminando criticamente non solo il contenuto delle notizie, ma anche le fonti di finanziamento dei media che consumiamo. Supportare il giornalismo indipendente, attraverso abbonamenti o donazioni, può fare la differenza.
Allo stesso tempo, dobbiamo esigere trasparenza dalle testate giornalistiche. Le sponsorizzazioni devono occupare spazi non preminenti dell’offerta informativa. Stare “nella stanza accanto”, in uno spazio definito, o permettere ai lettori di valutare potenziali conflitti di interesse.
Il giornalismo climatico è troppo importante per essere compromesso da interessi commerciali. In un’epoca di crisi climatica e disinformazione dilagante, quando perfino il debunking diventa una forma di manipolazione, abbiamo bisogno più che mai di un’informazione libera, coraggiosa e fedele alla verità, specie in tema di news sul clima. Il futuro del nostro pianeta potrebbe dipendere da questo.
- Il disastro della Deepwater Horizon fu un’esplosione e un successivo sversamento di petrolio avvenuto il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico: Causò la morte di 11 persone e lo sversamento di 4,9 milioni di barili di petrolio ↩︎
- Qui mi sento di consigliarvi Heated, la preziosa newsletter ambientale che più e meglio di altre ha sollevato il problema. Leggetela, e se vi va sostenetela. ↩︎