Nel cuore del Piemonte, mentre l’Italia del dopoguerra cercava faticosamente la sua strada verso il futuro, un uomo sognava e costruiva qualcosa di rivoluzionario. Adriano Olivetti non voleva solo una fabbrica: voleva creare un nuovo modo di vivere e lavorare, dove il progresso tecnologico andava di pari passo con il benessere sociale. Altro che Silicon Valley.
La visione rivoluzionaria di Adriano Olivetti, un imprenditore illuminato
Quando Adriano Olivetti prese le redini dell’azienda fondata dal padre Camillo nel 1908, aveva già in mente qualcosa di straordinario. Non si trattava solo di produrre macchine da scrivere e calcolatori: voleva creare un nuovo modello di impresa, dove la tecnologia si metteva al servizio dell’uomo, e non viceversa.
La Olivetti Company degli anni ’50 era molto meglio della Apple di oggi: un’azienda all’avanguardia che univa design e funzionalità in modi mai visti prima. Ma c’era una differenza fondamentale: mentre altre aziende pensavano solo al profitto, Olivetti pensava al benessere dei suoi dipendenti.
La visione di Adriano Olivetti nasceva dalla sua esperienza diretta: avendo lavorato in fabbrica, conosceva bene “la terribile monotonia e il peso di ripetere azioni all’infinito”. Era determinato a liberare l’uomo da questa “schiavitù degradante”. E a suo modo, nel tempo che ebbe, ci riuscì.
Un modello sociale rivoluzionario
A differenza delle company town americane, create dalle corporation per controllare i dipendenti, Ivrea era più simile a un kibbutz1. Il progetto andava ben oltre la semplice costruzione di una fabbrica: era un vero e proprio esperimento sociale. L’istruzione, per cominciare, era un diritto fondamentale, con corsi di formazione professionale e culturale disponibili per tutti i dipendenti.
Ma non è tutto. Adriano Olivetti introdusse benefici che erano decenni avanti rispetto ai suoi tempi. Le future mamme godevano di dieci mesi di congedo di maternità retribuito, quando la norma era di poche settimane. I dipendenti avevano accesso a un sistema sanitario all’avanguardia, completamente gratuito, che includeva cure dentistiche e specialistiche. Era previsto anche un programma di prestiti agevolati per l’acquisto della casa.
La cultura come pilastro della comunità
La visione di Olivetti includeva un forte impegno culturale. Durante la pausa pranzo, la fabbrica si trasformava in un centro culturale: attori, musicisti e poeti si esibivano regolarmente per i dipendenti. La biblioteca aziendale era una delle più fornite d’Italia, con migliaia di volumi disponibili gratuitamente.
L’azienda organizzava regolarmente conferenze, dibattiti e proiezioni cinematografiche. Gli artisti erano parte integrante della vita aziendale: molti di loro venivano assunti per lavorare nel dipartimento di design, creando non solo prodotti ma anche materiale pubblicitario e pubblicazioni aziendali.
Per Olivetti, la cultura non era un optional ma una necessità per lo sviluppo completo della persona. Come diceva lui stesso:
La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia.
Gli edifici: manifesti di modernità
Il Centro Servizi Sociali, progettato da Luigi Figini e Gino Pollini tra il 1955 e il 1959, era il cuore pulsante della comunità. Con il suo aspetto simile a una nave e il solarium sul “ponte” del tetto, l’edificio incorporava esagoni nel suo layout per creare spazi aperti che favorissero l’unità e la socializzazione. Mi colpisce come ogni dettaglio fosse pensato per promuovere il benessere dei dipendenti.
L’edificio per uffici Olivetti, opera di Annibale Fiocchi, Gian Antonio Bernasconi e Marcello Nizzoli (1952-1964), presentava un atrio interno mozzafiato. Una maestosa scalinata collegava i tre blocchi principali, posizionati ad angoli di 120 gradi. Adriano Olivetti voleva che lo spazio centrale creasse un senso di grandiosità e unità. E così era.
Le fabbriche: evoluzione dell’architettura industriale
Il complesso industriale di Ivrea era composto da quattro fabbriche interconnesse, ognuna rappresentativa della sua epoca. La fabbrica originale del 1908, in mattoni rossi, si collegava all’estensione del 1936, che a sua volta si connetteva alle espansioni del 1949 e del 1958. Ogni facciata evolve e raffina quella precedente, riflettendo le capacità architettoniche della propria era.
Come diceva Adriano Olivetti:
La fabbrica è stata progettata su scala umana per essere uno strumento di realizzazione e non una fonte di sofferenza. Volevamo finestre basse, cortili aperti e alberi nel giardino per bandire la sensazione di essere in un recinto ostile e ristretto.
Spazi innovativi per la comunità
L’asilo nido Olivetti, costruito tra il 1939 e il 1941 sempre da Figini e Pollini, era nascosto da siepi di bosso e protetto dalla strada. L’architettura a misura di bambino presentava facciate colorate, grandi finestre e aree gioco all’aperto che incoraggiavano l’apprendimento attraverso l’esplorazione.
Il complesso residenziale Talponia, inaugurato nel 1971, era una delle costruzioni più insolite della città. Costruito quasi interamente sotto una collina, dalla strada erano visibili solo cupole di vetro che spuntavano dal terreno come futuristiche colline di talpa.
Il Centro Studi: fucina di innovazione
Il Centro Studi ed Esperienze, progettato da Eduardo Vittoria (1951-1954), spiccava per le sue pareti rivestite in un bellissimo blu lucido, in contrasto con travi orizzontali bianche e pilastri verticali. Quattro ali asimmetriche circondavano un blocco centrale, caratterizzato da una scalinata romboidale illuminata da un lucernario.
Inizialmente sede dei corsi di formazione per i progettisti meccanici Olivetti, oggi ospita il quartier generale di ciò che resta dell’azienda. È un esempio perfetto di come l’architettura potesse servire sia scopi pratici che ideali estetici.
Il complesso La Serra: cultura e innovazione
Uno degli ultimi progetti realizzati fu il complesso La Serra, tra i pochi edifici dell’azienda nel centro città. Anche in questo caso (postumo) la visione di Adriano Olivetti si staglia in tutta la sua grandezza.
Questo enorme centro culturale comprendeva un auditorium, un cinema, un hotel e un ristorante. Costruito in grigio acciaio con dettagli giallo brillante, era stato progettato per assomigliare a una macchina da scrivere, con le camere d’albergo che sporgevano dall’edificio come tasti.
Le innovazioni tecnologiche che cambiarono il mondo
Per i ragazzi che non ne avessero ancora coscienza o conoscenza, Olivetti non era solo welfare e architettura: era anche e soprattutto tecnologia all’avanguardia. La Lettera 22 del 1949 fu l’iPhone dell’epoca: rivoluzionò il concetto di macchina da scrivere. Il suo design elegante e la portabilità la resero un oggetto di culto: Ernest Hemingway la definì “un gioiello da viaggio”, mentre Thomas Pynchon, Sylvia Plath e Gore Vidal la scelsero come strumento di lavoro.
La vera rivoluzione, però, arrivò nel campo dei computer. Nel 1959, l’azienda presentò l’Elea 9003, uno dei primi mainframe transistorizzati al mondo. Per realizzarlo, Olivetti creò una propria divisione semiconduttori e strinse un’alleanza strategica con Fairchild Semiconductor, contribuendo allo sviluppo del processo planare che rivoluzionò la produzione di circuiti integrati. E poi, il capolavoro dei capolavori: un omaggio a 5 anni dalla scomparsa di Adriano Olivetti, e allo stesso tempo la realizzazione delle sue idee. Il primo PC mai visto al mondo.
Il primo personal computer della storia
Il Programma 101 (P101) del 1965 è considerato il primo personal computer commerciale della storia. Un prodotto così innovativo che la HP dovette pagare a Olivetti royalties per aver copiato alcune sue caratteristiche. La NASA lo utilizzò per il programma Apollo, calcolando il consumo di carburante, la traiettoria e il tempo di atterraggio del modulo lunare.
Si, è così: gli americani insrguivano la Luna con un computer disegnato, progettato e costruito in Italia. È una testimonianza potente di quanto l’azienda fosse all’avanguardia: eppure quello fu un bellissimo canto del cigno.
Adriano Olivetti e l’eredità di un sogno italiano
La morte prematura di Adriano Olivetti nel 1960, unita all’acquisizione problematica della Underwood, segnò l’inizio del declino. Circolano ancora oggi voci su presunte interferenze straniere, inclusa la morte sospetta (appena un anno dopo quella di Adriano) di Mario Tchou, il capo programmatore Olivetti, e le preoccupazioni americane sulla tecnologia avanzata in un paese considerato a rischio comunismo.
Il testo è altra Storia, e la conoscete in tanti. Sotto la guida di Carlo De Benedetti, l’azienda tentò di adattarsi all’era informatica, abbandonando gradualmente gli impulsi socialisti. Ma negli anni ’80, le pressioni globali avevano preso il sopravvento. Ironia della sorte, l’ultima innovazione tecnologica di Olivetti fu la creazione della prima webcam nel 1991, utilizzata a Cambridge (si, è vero) per monitorare… una caffettiera.
Una lezione per il futuro
La storia di Ivrea e della Olivetti racchiude una verità profonda: il destino di un’azienda e della sua comunità sono inestricabilmente legati. Gli ideali visionari di Adriano Olivetti, nati dalla sua singolare miscela di umanesimo, imprenditorialità e curiosità intellettuale, crearono un modello di responsabilità aziendale ancora ineguagliato. Riformulo: un modello che grandi gruppi High Tech sempre meno empatici e meno attenti ai lavoratori non riusciranno mai ad eguagliare.
Oggi, in un’epoca di disordini tecnologici e sociali senza precedenti, le lezioni di Ivrea sono più rilevanti che mai. E non sono lezioni di storia, ma di futuro. Ci insegnano che l’innovazione non riguarda solo la creazione di nuovi prodotti, ma l’immaginazione di nuovi modi di vivere e lavorare insieme.
Perché la domanda da sempre cruciale (è possibile conciliare il benessere dei lavoratori con la competitività in un mercato spietato?) ha una risposta. L’ha sempre avuta, a dispetto di tutti i discorsi interessati sulla competitività. E quella risposta è Sì. L’esempio di Adriano Olivetti ci suggerisce che sì, è possibile.
E forse, più che possibile, oggi è necessario.
- Un kibbutz è una comunità collettiva tipica di Israele, nata all’inizio del XX secolo. Si basa su principi di uguaglianza e condivisione, dove i membri vivono e lavorano insieme, condividendo risorse e responsabilità. Originariamente focalizzati sull’agricoltura, oggi molti kibbutz si sono diversificati in attività industriali e turistiche. In queste comunità, tradizionalmente, tutti ricevevano lo stesso stipendio, alloggio gratuito e servizi come l’assistenza sanitaria. Nonostante abbiano subito cambiamenti nel tempo, i kibbutz rimangono una parte importante della società israeliana, rappresentando un modello unico di vita comunitaria.
Per approfondire il tema, potete consultare la pagina di Wikipedia. ↩︎