Prendete tutta l’IA nei film di fantascienza che avete visto da quando avete memoria. Fatto? Bene. Ora dimenticateli. O forse no?Perché secondo un’antropologa dell’Università di Zurigo, quelle pellicole potrebbero averci detto molto più di quanto pensiamo sul presente che stiamo vivendo. E forse anche su quello che viene dopo.
IA nei film, il passato che ha predetto il futuro
Nell’universo della fantascienza, l’IA ha sempre avuto un ruolo da protagonista. Ma quanto erano accurate queste previsioni? Beth Singler, assistente professoressa di religioni digitali presso l’Università di Zurigo, ha dedicato la sua carriera a studiare cosa pensiamo delle macchine che pensano. E la sua analisi rivela sorprendenti paralleli tra la finzione di ieri e la realtà di oggi.
La sua ampia riflessione può trovare quattro sintesi-manifesto in altrettanti film: li rivediamo insieme?
La sete di dati di Corto Circuito
Chi l’avrebbe mai detto che un film del 1986 avrebbe colto un aspetto fondamentale dell’IA moderna? In Corto Circuito lo squinternato robot Numero 5 diventa “vivo” dopo essere stato colpito da un fulmine e sviluppa un’insaziabile fame di informazioni. “Input, input, INPUT!” grida continuamente.
Che metafora, ragazzi. Un comportamento che da solo condensa sorprendentemente le basi dei moderni grandi modelli linguistici, che necessitano di enormi quantità di dati per funzionare. E sono voraci in tutto: purtroppo, anche di energia.
Ex Machina e il tema del genere
In un altro celebre film, Ex Machina, l’IA viene rappresentata come una seducente presenza femminile (che eleganza, Alicia Vikander). Secondo la Singler, questa è una scelta narrativa ricorrente, e ha ragione. Il mio primo contatto al cinema con le intelligenze artificiali “incarnate” fu nel 1980 e in sala davano “Io e Caterina”, col grande Alberto Sordi.
Questo fa capire quanto sia longevo il “bias”, che solleva importanti questioni sul modo in cui percepiamo la tecnologia. L’IA ha davvero bisogno di un genere? O questo riflette semplicemente i nostri pregiudizi e le nostre aspettative?
L’eredità “pervasiva” di Terminator
Non so se è un bene o un male (forse un po’ e un po’), ma nessun film ha plasmato la nostra percezione dell’IA quanto Terminator. Nato dalle paure della Guerra Fredda degli anni ’80, il film cattura le ansie sul complesso militare-industriale, preoccupazioni ancora rilevanti, nell’era dei droni autonomi. Anzi: di più.
Unica differenza, nota Singler, è il ruolo delle aziende private e degli individui nello sviluppo dell’IA: è diventato molto più significativo di quanto il film potesse immaginare.
Her e la singolarità tecnologica
Il film Her esplora un futuro in cui gli assistenti IA diventano compagni emotivi degli umani. Lo conosciamo, lo abbiamo amato, ci ha sconcertato: non ci ha lasciati indifferenti.
Molti però hanno sottovalutato Ma la vera intuizione del film, nascosta dalla sensuale voce di Scarlett Johannsson: riguarda il concetto di “singolarità”: il momento in cui l’IA supera l’intelligenza umana in modo esponenziale. Invece di diventare una minaccia, l’IA nel film sceglie semplicemente di “andare oltre” l’umanità, e lasciarci in pace. Chissà, magari potrebbe essere questa l’altra faccia della medaglia, una “Skynet” buona che al massimo si fa gli affari suoi. Chi vivrà, vedrà.
IA nei film: la realtà supererà la finzione?
“L’industria dell’IA sta evolvendo più velocemente di quanto la fantascienza possa tenere il passo”, osserva Singler. Eppure, questi film continuano a influenzare il modo in cui percepiamo e sviluppiamo la tecnologia. Quando un robot apre una porta, le persone pensano immediatamente a Terminator, anche se la realtà è molto più complessa e sfumata.
Nei prossimi anni assisteremo ad evoluzioni sempre più spinte dell’IA, ma questi film ci dicono che l’immaginazione umana avrà sempre un ruolo cruciale nel plasmare il futuro della tecnologia. Da Corto Circuito a Her, da Terminator a Ex Machina, la fantascienza non solo ha previsto molti aspetti dell’IA moderna ma continua a influenzare il modo in cui pensiamo al suo futuro.
E forse, suggerisce Singler, dovremmo prestare più attenzione a tutti i dettagli e le intuizioni, non solo a quelli che hanno scavato profondamente nel nostro immaginario, e che forse limitano la nostra apertura mentale.