Se vi dicessero che potete avere la potenza di mille computer in una scatola grande quanto una console per videogiochi, pensereste che il vostro interlocutore è pazzo. E se il vostro interlocutore fosse Jensen Huang? No, perchè è esattamente quello che Nvidia ha presentato al CES 2025: parlo di Project Digits, un supercomputer personale che promette di portare l’AI dalle nuvole del cloud computing direttamente sulla vostra scrivania.
Il supercomputer che sembra una (piccola) PlayStation
Io lo dicevo ai colleghi, che questa è l’era dei mini computer. Qualcuno rideva. Ora fa sorridere me pensare che Project Digits assomigli più a una console gaming che a un supercomputer. Ma non fatevi ingannare dalle apparenze: questa piccola bestia nasconde il nuovo chip GB10 Grace Blackwell Superchip, sviluppato in partnership con MediaTek, che offre prestazioni da capogiro. Pensate: può gestire modelli di AI fino a 200 miliardi di parametri. È come avere un intero laboratorio di ricerca in una scatola. E se proprio volete esagerare, potete collegarne due insieme e arrivare a 405 miliardi di parametri. Il bello è che potete usarlo come workstation standalone o collegarlo al vostro PC Windows o Mac. Flessibilità totale. Devo continuare? Oh, io continuo: poi, chi vuole legge.
Project Digits, potenza bruta in numeri
Un petaflop di potenza di calcolo. So che detto così non significa molto per i non addetti ai lavori. Mettiamola così: come detto, è l’equivalente di avere mille PC gaming di ultima generazione che lavorano in sincronia. Tutto questo grazie al matrimonio perfetto tra una GPU Blackwell e una CPU Grace a 20 core. A supportare questa potenza ci sono 128GB di memoria e fino a 4TB di storage flash. Numeri che farebbero impallidire il supercomputer che ha mandato l’uomo sulla Luna (vabbè, mi piace vincere facile). E pensare che sta tutto in un case da scrivania.
E ora, l’elefante nella stanza: il prezzo. Chi lo comprerà davvero?
Parliamoci chiaro: 3.000 dollari non sono bruscolini. È il prezzo di un’auto usata decente o di una vacanza molto lussuosa. Ma è pur sempre meno di un Apple Vision Pro (Tim, mannaggia a te: ma che hai combinato?). Jensen Huang, CEO di Nvidia, in poche parole, ha una visione chiara:
È una piattaforma di cloud computing che però sta sulla tua scrivania
Più chiaro di così si muore. Per chi lavora con l’AI, potrebbe essere un investimento sensato. Pensate a quanto si spende in cloud computing per addestrare modelli complessi. In alcuni casi, Project Digits potrebbe ripagare il suo costo in pochi mesi. Tornando alla domanda che dà il titolo a questo paragrafo: chi lo comprerà davvero? Project Digits, che arriverà sul mercato a maggio attraverso partner selezionati, farà la fortuna di ricercatori AI, data scientist e studenti. Mi fa pensare a quando da ragazzini sognavamo il computer perfetto per giocare. Oggi i “ragazzini” sognano il computer perfetto per addestrare modelli di AI.
Non sarà per tutti, è vero. Ma non è questo il punto. Project Digits rappresenta un cambio di paradigma: porta la potenza di calcolo dei grandi centri di ricerca nelle mani dei singoli innovatori. E questo fa un bel po’ notizia, perchè porta con sé un tema del tutto dirimente.
Project Digits, la democratizzazione dell’AI
C’è qualcosa di poetico nel vedere come la tecnologia si evolve. Dai mainframe che occupavano intere stanze siamo passati ai PC, dagli smartphone siamo arrivati al cloud computing, e ora il cerchio in qualche modo si chiude: il supercomputer torna sulla scrivania. Miniaturizzato come Alice che beve la pozione sbagliata. Project Digits potrebbe essere il primo di una nuova generazione di strumenti che democratizzano l’accesso all’AI. Come il PC ha rivoluzionato l’informatica personale negli anni ’80, questi dispositivi potrebbero fare lo stesso per l’intelligenza artificiale.
Il futuro dell’AI non sarà solo nelle mani dei giganti tecnologici con i loro enormi data center, ma anche nelle mani di ricercatori indipendenti, studenti brillanti e innovatori di ogni tipo. E questo, forse, è il vero valore di Project Digits. Diavolo di un Jensen: ora mi spiego meglio quelle tue “profetiche” parole.