Quante volte vi siete trovati a guidare lentamente attraverso una fitta nebbia, imprecando contro quella cortina bianca che limitava la visibilità e rallentava il vostro viaggio? Eppure, proprio quella che consideriamo un fastidio potrebbe diventare una delle risorse più preziose del nostro futuro.
In un mondo dove l’acqua dolce (riformulo: la DISPONIBILITÀ di acqua dolce) scarseggia sempre più, alcuni ricercatori stanno guardando alla nebbia come a un tesoro nascosto in piena vista, capace di offrire una fonte d’acqua potenzialmente illimitata. Un’idea che sembra quasi troppo semplice per essere vera, ma che sta già dimostrando il suo valore nelle zone più aride del pianeta, dove ogni goccia d’acqua può fare la differenza tra la vita e la morte.
La nebbia come soluzione alla siccità
Un nuovo studio suggerisce che catturando minuscole goccioline d’acqua dall’aria, la nebbia potrebbe diventare una fonte d’acqua rinnovabile: i ricercatori hanno testato questo concetto ad Alto Hospicio, una città ai margini del deserto di Atacama, la regione non polare più arida del pianeta.
Con meno di un millimetro di pioggia all’anno, gli abitanti dipendono da antichissime falde acquifere sotterranee che non vengono rifornite da oltre 10.000 anni. È una situazione drammatica che, con l’aggravarsi dei cambiamenti climatici, rischia di diventare davvero insostenibile.
Come funziona la raccolta della nebbia
Utilizzando semplici pannelli a rete, i ricercatori hanno sviluppato un sistema che intrappola l’acqua dalla nebbia mentre si sposta nell’aria. Le goccioline si raccolgono sulla rete, scorrono in una grondaia e poi fluiscono nei serbatoi di stoccaggio. È un modo economico e a bassa manutenzione per creare una fonte d’acqua rinnovabile senza richiedere elettricità.
Nel corso di un anno, gli scienziati hanno scoperto che ogni metro quadrato di rete poteva catturare una media di 2,5 litri d’acqua al giorno. Durante la stagione di punta della nebbia, questo numero è balzato a 10 litri al giorno.
Con una “fattoria della nebbia” di 17.000 metri quadrati, le comunità potrebbero raccogliere 300.000 litri d’acqua a settimana.
Non posso fare a meno di immaginare l’impatto che una simile tecnologia potrebbe avere in regioni come la Sicilia o la Sardegna, dove la siccità estiva diventa ogni anno più severa. O nelle zone aride dell’Africa, dove l’accesso all’acqua potabile resta un privilegio per pochi.
Un cambio di paradigma nell’approvvigionamento idrico
La dottoressa Virginia Carter Gamberini, una delle principali ricercatrici dello studio (che vi linko qui), definisce questo un significativo cambiamento nel modo in cui pensiamo alla nebbia. Tradizionalmente vista come una soluzione su piccola scala e rurale, la raccolta della nebbia potrebbe diventare una pratica fornitura d’acqua potabile urbana, aiutando le città a combattere la carenza d’acqua causata dai cambiamenti climatici.
Trovo affascinante come ciò che consideriamo un fastidio meteorologico possa trasformarsi in una risorsa vitale. Non è la prima volta che la natura ci offre soluzioni che aspettavano solo di essere scoperte. Ma in un’epoca di crescente stress idrico, la capacità di “coltivare” la nebbia potrebbe rappresentare molto più di un’innovazione tecnologica: potrebbe essere un passo verso un futuro in cui l’accesso all’acqua non è più motivo di conflitto o sofferenza.