Vi siete mai chiesti quanto ancora ci separi da un’intelligenza artificiale che superi le capacità umane in quasi ogni ambito? Secondo Ben Buchanan, ex consigliere per l’IA della Casa Bianca, potrebbero bastare appena due o tre anni. Traduco: l’intelligenza artificiale generale emergerà durante il mandato di Donald Trump. Badate, questa rivelazione non arriva da un guru della Silicon Valley con interessi commerciali, ma da chi ha avuto accesso alle informazioni più riservate sul progresso dell’intelligenza artificiale. L’accelerazionismo, quella filosofia che sostiene che dobbiamo correre verso il futuro tecnologico senza eccessivi freni regolatori, è diventata la dottrina ufficiale dell’amministrazione Trump, con conseguenze potenzialmente rivoluzionarie per il mondo intero.
La nuova dottrina americana e “i 5 grandi impatti” dell’accelerazionismo
Quando parliamo di accelerazionismo nel contesto dell’intelligenza artificiale, non stiamo più dissertando di una teoria astratta ma di una concreta strategia politica. L’amministrazione Trump, con figure come Elon Musk, Marc Andreessen e JD Vance al timone, ha imboccato una strada radicalmente diversa da quella tracciata da Biden. Non si tratta più di bilanciare innovazione e cautela, ma di spingere l’acceleratore a tavoletta, convinti che la vera minaccia non sia l’assenza di regole ma il rischio di restare indietro nella corsa globale all’AGI.
Buchanan ne parla in una lunga intervista a Ezra Klein sul New York Times: anche all’interno della Casa Bianca (ben lontano, forse, dalle pressioni commerciali dei laboratori privati) i dati indicavano chiaramente che i sistemi di intelligenza artificiale generale sarebbero arrivati molto prima del previsto, probabilmente proprio durante il secondo mandato di Trump.
Questa circostanza produrrà cinque giganteschi impatti sull’ordine geopolitico pianeta. Il primo impatto, si è capito fin all’insediamento del nuovo presidente USA, è un vero e proprio terremoto nella politica tecnologica, con onde d’urto che si propagano in tutto il mondo. Non si tratta di semplici aggiustamenti, ma di un ripensamento fondamentale del rapporto tra Stato, innovazione e sicurezza.
La competizione USA-Cina osservata meglio
Il secondo modo in cui l’accelerazionismo sta trasformando la politica globale riguarda la ridefinizione della competizione USA-Cina in termini di dominio tecnologico. Non si tratta più solo di armi, influenza diplomatica o potenza economica: la vera battaglia si combatte sul terreno dell’intelligenza artificiale.
I controlli alle esportazioni (specie quelle tecnologiche) implementati dall’amministrazione Biden, e probabilmente intensificati nel prossimo futuro da Trump, sono l’arma economica con cui gli Stati Uniti cercano di mantenere il proprio vantaggio tecnologico. È fondamentale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti continuare a guidare nel campo dell’IA: non è una preferenza, ma un imperativo strategico.
Questa visione è sintetizzata perfettamente dal richiamo che Buchanan fa al discorso di Kennedy sulla corsa allo spazio: “Per la scienza spaziale, come per la scienza nucleare e tutte le tecnologie, non ha una coscienza propria. Se diventerà una forza per il bene o per il male dipende dall’uomo. E solo se gli Stati Uniti occupano una posizione di preminenza possono contribuire a decidere se questo nuovo oceano sarà un mare di pace o un nuovo terrificante teatro di guerra”.
La questione non è più se la Cina possa diventare una minaccia, ma cosa significherebbe per il mondo se Pechino arrivasse prima all’AGI. Gli accelerazionisti hanno trasformato questa competizione in una corsa esistenziale, dove chi arriva secondo rischia di perdere tutto.
Il ripensamento della regolamentazione tecnologica
Il terzo impatto riguarda la regolamentazione. L’intervento di JD Vance al summit sull’IA di Parigi è emblematico: “Non sono qui questa mattina per parlare di sicurezza dell’IA, che era il titolo della conferenza di un paio di anni fa. Sono qui per parlare di opportunità dell’Ia”. Una frase che suona come un manifesto dell’accelerazionismo di Stato. Una visione che ribalta completamente l’approccio tradizionale alla regolamentazione tecnologica.
Se per decenni il mantra è stato “prima le regole, poi l’innovazione”, ora la filosofia è opposta. “Innovare rapidamente, regolamentare successivamente”. Quando Vance afferma che “limitare lo sviluppo dell’IA ora significherebbe paralizzare una delle tecnologie più promettenti che abbiamo visto in generazioni”, sta tracciando una linea netta con l’approccio europeo, molto più cauto e incentrato sulla regolamentazione preventiva.
Mi interessa farvi notare come questo rappresenti una rottura anche con alcune iniziative dell’amministrazione Biden, che pur non essendo particolarmente restrittive avevano comunque creato un framework di sicurezza e test volontari. Il nuovo approccio sembra essere molto più radicale: innovare a tutti i costi, affrontando i problemi solo quando (e se) si presenteranno.
Questa filosofia si estende ai rapporti con l’Europa: Vance ha chiaramente segnalato che gli USA non seguiranno l’approccio regolatorio europeo e potrebbero persino rispondere con misure ritorsive se le regole UE dovessero penalizzare le aziende americane di AI.
La ridefinizione del rapporto pubblico-privato
Il quarto modo in cui l’accelerazionismo sta trasformando la politica globale riguarda, ve lo anticipavo prima, la relazione tra Stato e aziende tecnologiche. Se storicamente le grandi innovazioni tecnologiche (dall’energia nucleare all’internet) sono state guidate da investimenti governativi, l’IA rappresenta la prima, vera rottura radicale con questo modello.
Come sottolinea Buchanan: “Questa è la prima tecnologia rivoluzionaria che non è finanziata dal Dipartimento della Difesa”. Una situazione inedita, che crea un nuovo equilibrio di potere tra governo e aziende private, con queste ultime che detengono un controllo senza precedenti sullo sviluppo di una tecnologia potenzialmente trasformativa.
L’approccio accelerazionista sembra abbracciare questa nuova realtà, vedendo nelle aziende tecnologiche non entità da regolamentare ma partner strategici nella corsa globale all’IA. Non è un caso che l’amministrazione Trump abbia portato al potere figure strettamente legate alla Silicon Valley, come Musk e Andreessen, e che la politica di “deregulation” sembri pensata per dare alle aziende americane il massimo vantaggio competitivo.
Questo nuovo rapporto pubblico-privato è una rottura significativa con la tradizione americana di supervisione governativa sulle tecnologie strategiche, con implicazioni potenzialmente enormi per la governance dell’IA (e non solo) a livello globale.
Il lavoro e l’economia nell’era dell’accelerazionismo
Il quinto impatto, lo avrete capito, riguarda il mercato del lavoro e l’economia. Sarà un impatto dirompente sull’occupazione, e non esistono ancora risposte concrete a questa sfida imminente: quelle arrivate sono insufficienti.
L’approccio dell’accelerazionismo sembra essere: “Corriamo verso questa rivoluzione e troveremo soluzioni ai problemi quando si presenteranno”. Ma le implicazioni per il mercato del lavoro sono potenzialmente enormi. Intere categorie professionali (dai marketers ai programmatori) potrebbero vedere una drastica riduzione della domanda di lavoro in tempi molto brevi.
Quello che mi preoccupa è la mancanza di pianificazione. Buchanan ammette che durante l’amministrazione Biden la questione è stata discussa principalmente come “esercizio intellettuale” piuttosto che come preparazione di politiche concrete. E ora, con un’amministrazione ancora più orientata all’accelerazione tecnologica, il rischio è che l’impatto sociale dell’IA venga semplicemente ignorato fino a quando non diventerà una crisi concreta.
L’accelerazionismo sta trasformando la politica del lavoro spingendola verso un territorio inesplorato: cosa succede quando l’automazione cognitiva arriva a una velocità per cui i sistemi di riqualificazione e adattamento tradizionali sono semplicemente troppo lenti per rispondere efficacemente?
L’accelerazionismo e la ristrutturazione dello Stato
Uno degli aspetti più interessanti emersi dall’intervista di Buchanan riguarda il modo in cui l’accelerazionismo sta ridefinendo la struttura stessa degli USA. Klein riporta conversazioni con figure vicine all’amministrazione Trump, tipo Elon Musk, che vedono nella “ristrutturazione” attuale del governo (che tanti criticano come “smantellamento”) un’opportunità per costruire un’amministrazione pubblica più adatta all’era dell’IA.
L’idea è che le burocrazie tradizionali siano semplicemente troppo lente e rigide per sfruttare appieno il potenziale dell’intelligenza artificiale. Quindi, la “distruzione creativa” dell’apparato statale potrebbe essere vista non come un attacco allo Stato, ma come un tentativo di renderlo più efficiente nell’era dell’automazione cognitiva.
Sono scettico su alcuni aspetti specifici di questa visione, ma concordo sul fatto che il governo federale americano, come gran parte dei governi attuali nel mondo, è troppo lento nel modernizzare la tecnologia, troppo lento nelle sinergie tra i suoi vari enti, troppo lento nel cambiare radicalmente il modo in cui le cose vengono fatte.
La visione accelerazionista dello Stato cambia la concezione stessa dell’amministrazione pubblica: non più un apparato deliberatamente lento e ponderato, ma un’entità che deve muoversi alla velocità dell’innovazione tecnologica.
I conflitti sulla sicurezza dell’IA
Se l’amministrazione Biden aveva creato un Istituto per la Sicurezza dell’Intelligenza Artificiale, c’è un chiaro segnale che l’amministrazione Trump potrebbe ridimensionare queste preoccupazioni a favore di un’innovazione più rapida.
Il dibattito fondamentale è tra chi vede nella sicurezza una condizione per l’innovazione e chi la considera un ostacolo. È come durante il primo periodo delle ferrovie: c’erano tonnellate di incidenti, schianti e morti. Poi arrivarono gli standard di sicurezza e tecnologie come la segnalazione a blocchi, o i freni ad aria, e tutto migliorò.
L’approccio accelerazionista, invece, sembra favorire un modello “rompi le cose e poi aggiustale”, una rottura significativa con la tradizionale prudenza governativa. Questo potrebbe portare a un’innovazione più rapida, ma anche a incidenti e problemi che potrebbero influenzare la fiducia pubblica nella tecnologia.
Belle le ambizioni di razionalizzare la macchina statale, ma non dimentico (e non bisogna dimenticare) che sistemi di IA avanzata potrebbero essere utilizzati anche per rafforzare meccanismi di sorveglianza e controllo sociale, rendendo il controllo più pervasivo che mai (a Occidente come ad Oriente).
Verso un futuro accelerazionista
I “cinque grandi impatti” in cui l’accelerazionismo sta trasformando la politica globale cambiano la visione stessa del futuro. L’idea che nei prossimi due o tre anni potremmo sviluppare intelligenze artificiali in grado di superare le capacità umane in quasi ogni ambito cognitivo rappresenta un cambiamento di paradigma fondamentale.
Come afferma Buchanan: “Oggi è il momento peggiore in cui l’AI sarà mai. Non farà che migliorare”. Questa prospettiva vertiginosa sta ridefinendo priorità politiche, allocazione di risorse e persino visioni geopolitiche su scala globale.
L’accelerazionismo non è più solo una filosofia tecnologica ma sta diventando una forza plasmatrice del futuro politico globale. Se i suoi sostenitori hanno ragione, stiamo entrando in un’era di trasformazione senza precedenti, guidata da una tecnologia che non comprendiamo pienamente ma che potrebbe ridefinire ogni aspetto della società umana.
Per questo la posizione accelerazionista è che i benefici potenziali dell’AI sono così enormi che ritardarne lo sviluppo a causa di preoccupazioni sulla sicurezza è in sé un rischio maggiore.
L’enigma senza risposta
Ci sono infiniti settori (dalla scoperta di farmaci all’istruzione) che potrebbero essere trasformati positivamente da un’AI avanzata. Il vero “collo di bottiglia” potrebbe non essere la tecnologia in sé, ma la nostra capacità di adattare le istituzioni e i processi del mondo reale per sfruttarne i benefici.
Perché il punto è proprio questo. Nonostante l’imminenza di questa rivoluzione tecnologica, non abbiamo ancora risposte concrete a molte delle domande più urgenti che pone. Come gestire il terremoto del mercato del lavoro? E come bilanciare innovazione e sicurezza? Come mantenere il controllo democratico su sistemi sempre più autonomi e potenti?
L’accelerazionismo ci sta spingendo in un territorio inesplorato a una velocità senza precedenti. E mentre correggere la rotta potrebbe essere più difficile una volta lanciati, c’è anche il rischio che un’eccessiva cautela ci faccia perdere opportunità trasformative.
Quello che è certo è che l’accelerazionismo non è più una teoria ai margini del dibattito politico, ma una filosofia che sta attivamente plasmando alcune delle decisioni più importanti del nostro tempo. Che si condivida o meno questa visione, comprenderne le implicazioni (magari mettendo da parte le bandierine di tifosi o detrattori di Trump, Musk, Vance e compagnia bella) è essenziale per chiunque voglia partecipare al dibattito sul futuro dell’intelligenza artificiale e della società umana.