Immaginate di aver pianificato per mesi una missione spaziale, solo per vedere tutto crollare quando qualcuno decide che la traiettoria della navetta deve cambiare. Questo è esattamente ciò che è successo ad Atmos Space Cargo, che ha visto il suo veicolo Phoenix partire nel bel mezzo di un turbine di modifiche improvvise. La missione doveva essere perfetta, ma come spesso accade nell’industria spaziale, i piani sembrano essere l’unica cosa che non sfida la gravità.
Una missione che è stata tutto, tranne che noiosa
Atmos Space Cargo è una giovane startup tedesca che, tra i suoi numerosi progetti futuristici, ha dato vita alla sua creazione più audace: Phoenix, un veicolo spaziale a forma di ciambella. Certo, detto così non gli fa onore: potrebbe far pensare a una sorta di esperimento bizzarro, ma non è così. Dietro quella forma inusuale si nasconde un’ambizione enorme: testare nuove tecnologie per il rientro atmosferico. Il 21 aprile scorso il veicolo è stato lanciato a bordo della missione Bandwagon-3 di SpaceX, con l’intento di raccogliere dati preziosi per migliorare le future missioni spaziali. Ma, come spesso accade nel settore spaziale (vero, Boeing?) le cose non vanno mai come ci si aspetta.
Il cambio di rotta di SpaceX che ha scombinato tutto
A meno di un mese dal lancio, SpaceX ha deciso di modificare la traiettoria della missione Bandwagon-3. Perché? Semplice: problemi operativi legati al carico principale, un satellite di ricognizione sudcoreano. Tradotto, significa che la missione di Phoenix ha visto la sua destinazione e il suo percorso completamente stravolti, costringendo il veicolo a intraprendere un rientro molto più complesso di quanto previsto inizialmente. E come se non bastasse, il punto di rientro è stato spostato dall’Oceano Indiano, dove Atmos aveva organizzato tutta la logistica per recuperare il veicolo, fino all’Oceano Atlantico, ben 2.000 chilometri più a ovest. Un bel problema per chi aveva già pronto tutto: navi di recupero, aerei per raccogliere dati e perfino stazioni a terra in Sud America. Ma il destino, si sa, ha i suoi piani.
Nonostante tutto, Atmos Space Cargo parla di successo. Ha ragione?
Il rientro del veicolo Phoenix è stato un incubo logistico: la posizione finale del veicolo era talmente lontana che qualsiasi tentativo di recupero è stato annullato. Ma Atmos Space Cargo, con sfrontata determinazione, ha deciso che questa missione sarebbe stata comunque un successo. A dirlo, in una conferenza stampa del 22 aprile, è stato il CEO della compagnia, Sebastian Klaus, che ha sottolineato come, nonostante le difficoltà, il test abbia raggiunto gli obiettivi principali. “Abbiamo raccolto moltissimi dati durante il volo”, ha dichiarato. Questo, secondo lui, è stato il cuore del successo della missione. E chi sono io per smentirlo? Dopotutto i quattro dispositivi scientifici a bordo del Phoenix hanno funzionato come previsto, restituendo informazioni vitali per lo sviluppo futuro.
Rappresentazione della traiettoria orbitale e di rientro del PHOENIX 1 fino all’ammaraggio.
Il veicolo, dopo essersi separato dalla parte superiore del razzo Falcon 9 di SpaceX, è entrato nella fase di rientro, a circa 90 minuti dal lancio. E sì, i dati raccolti durante questo momento sono stati fondamentali, in particolare per quanto riguarda il sistema di scudo termico gonfiabile, una delle innovazioni chiave del Phoenix. Certo, il veicolo ha incontrato carichi più elevati durante il rientro a causa della traiettoria più ripida, ma Atmos ha comunque potuto confermare che il sistema di protezione termica ha funzionato, sebbene il recupero delle immagini e dei dati nell’ultima fase sia stato, come ammette lo stesso Klaus, “molto difficile”. La distanza, infatti, ha reso impossibile raccogliere informazioni in tempo reale e l’aria nuvolosa ha impedito la registrazione visiva del rientro.
Cos’è andato davvero storto e cosa no
Mi pare chiaro, a parte gli scherzi, che la missione Phoenix sia stata come talvolta accade un mix di fallimenti e successi. L’impossibilità di recuperare il veicolo è un colpo duro per qualsiasi compagnia, ma il fatto che i dispositivi scientifici abbiano restituito dati significativi è qualcosa che va ben oltre le aspettative iniziali. Non è una missione epica, ma sicuramente ha fornito più risposte che domande. Quello che gli ingegneri della compagnia tedesca hanno imparato dai dati raccolti aiuterà senza dubbio a perfezionare il design e la strategia operativa del prossimo Phoenix, previsto per il 2026.
Atmos Space Cargo, il futuro che si fa spazio (letteralmente)
Magari la prossima volta, quando la “ciambella spaziale” deciderà di fare ritorno sulla Terra sarà in grado di raccogliere più dati, recuperare il veicolo e, finalmente, coronare il successo che questa startup tedesca sta cercando di conquistare, tra difficoltà, imprevisti e un po’ di ironia spaziale.
Quindi, se vi state chiedendo se questa missione è stata un successo… beh, sì, ma forse è più interessante chiedersi che cosa accadrà la prossima volta. Perché, come ci insegna lo spazio, ogni errore è solo un passo verso la grande scoperta.