La forza ipnotica del flusso naturale: attendere pazientemente che una maestosa alce emerga dall’acqua del fiume Ångerman è diventato uno sport nazionale in Svezia e, sorprendentemente, un fenomeno globale. La slow TV sta ribaltando tutte le regole del marketing televisivo, quelle che ci hanno fatto credere che l’attenzione del pubblico si catturi solo con montagne russe emotive e colpi di scena. Invece, milioni di persone si sintonizzano per ore su riprese non editate di foreste apparentemente vuote, dove l’assenza stessa diventa protagonista.
Questo autentico paradosso mi affascina: mentre l’industria dell’intrattenimento investe miliardi per stimolare continuamente i nostri sensi, si sta riscoprendo il piacere zen di osservare il nulla che, occasionalmente, si trasforma in qualcosa.
“La grande migrazione delle alci“, trasmissione della rete pubblica svedese SVT, è diventata un caso di studio per chi, come me, si occupa di comunicazione. Dal debutto nel 2019, il programma ha visto crescere esponenzialmente il suo pubblico, fino a raggiungere oltre 9 milioni di spettatori globali lo scorso anno. E, secondo il produttore esecutivo Johan Erhag, i numeri di quest’anno potrebbero essere ancora più alti.
Avete capito di cosa si tratta? Forse non vi è abbastanza chiaro. Stiamo parlando di ore e ore di riprese di alberi, uccelli, occasionalmente orsi e, se si è fortunati, qualche alce che attraversa un fiume. Per gran parte del tempo non succede assolutamente nulla. Eppure funziona. E funziona magnificamente. Perché?
Slow tv: un viaggio condiviso oltre gli schermi
Cosa cercano davvero gli svedesi (e non solo) quando si sintonizzano su queste trasmissioni? Non è solo voyeurismo naturalistico.
Penso che le persone lo apprezzino perché c’è TUTTO. Tutte le parti noiose, e tutte le parti eccitanti: tutto ciò che potrebbe accadere.
Le parole di Thomas Hellum, produttore di NRK (l’emittente pubblica norvegese pioniera di questo genere), toccano un punto fondamentale. In un’epoca di contenuti curati, selezionati e filtrati, la slow TV offre qualcosa di radicalmente diverso: la realtà non mediata.
Non c’è un copione. Non c’è un produttore che seleziona i momenti migliori per noi. Siamo noi che dobbiamo capire cosa è interessante e cosa è noioso. Il “format” sono i nostri occhi, proprio come nella vita reale. È un’esperienza che, paradossalmente, ci riporta a una dimensione più autentica dell’esistenza.
E poi c’è l’aspetto comunitario. Come dice Hellum:
“Questo programma ha creato una sorta di comunità tra coloro che guardavano, come se fossimo tutti passeggeri sullo stesso treno, facendo lo stesso viaggio, condividendo la stessa vista”.
In un mondo sempre più atomizzato, la slow TV offre semplicemente un’esperienza condivisa, un punto di riferimento comune.
Il percorso delle protagoniste
Da fine aprile a fine maggio, tra 300 e 500 alci migrano dal loro rifugio invernale presso la baia di Botnia verso quello estivo, nelle montagne al confine tra Svezia e Norvegia. Secondo Göran Ericsson, preside di scienze forestali presso l’Università svedese di scienze agricole, le alci nel nord della Svezia possono migrare spostandosi fino a 90 chilometri, molto più delle loro cugine meridionali che si spostano di appena 10 chilometri.
Mi piace pensare che ci sia qualcosa di profondamente metaforico in questo viaggio: un movimento lento ma costante verso un obiettivo, dettato dai ritmi biologici e dalle necessità primarie della vita. In un certo senso, è l’antitesi perfetta della frenesia contemporanea.
Il futuro lento della televisione
Il fenomeno della slow TV risponde chiaramente a bisogni profondi della nostra società iperconnessa e iperstimolata. Rappresenta una forma di detox digitale (paradossalmente fruita attraverso uno schermo). È meditazione passiva per una generazione che ha dimenticato come rallentare.
Vista l’evoluzione del trend, non mi sorprenderei di vedere presto format simili adattati a contesti diversi: migrazioni di animali in altri paesi, eventi naturali ciclici o persino processi umani lenti e metodici. Immagino già uno streaming 24/7 della costruzione artigianale di una cattedrale, o la crescita di un giardino attraverso le stagioni, o di una nonna pugliese che fa le orecchiette a mano.
Il successo della slow TV ci ricorda una verità fondamentale che l’industria dell’intrattenimento tende a dimenticare: a volte, meno è più. A volte, anche la pazienza è una forma di piacere. E in un mondo che ci spinge continuamente a correre, c’è qualcosa di profondamente sovversivo nel sedersi e semplicemente guardare la vita che scorre al suo ritmo naturale, senza filtri, senza accelerazioni, senza manipolazion. E magari farlo anche dal vivo, ovviamente: compatibilmente con il tempo.
Perché forse è proprio questo il vero lusso contemporaneo: il tempo per aspettare che un’alce emerga dall’acqua.