Il Mar Mediterraneo è un crocevia di crisi. La rotta migratoria più letale al mondo, un hotspot di perdita di biodiversità, un bacino energetico ancora troppo dipendente dai combustibili fossili. Di fronte a queste sfide epocali, lo studio di architettura e design NAB ha immaginato una soluzione tanto audace quanto visionaria. Si chiama MAR (Mediterranean Alliance Rescue), ed è una rete di piattaforme multifunzione galleggianti progettate per soccorrere i migranti, proteggere l’ecosistema marino e produrre energia rinnovabile.
Un progetto che ridisegna il futuro del Mediterraneo, proponendo una risposta integrata alle emergenze che affliggono questo mare così cruciale per il nostro pianeta.
Isole di speranza
Guidato da Nicolas Abdelkader, il progetto MAR è concepito come una griglia che copre l’intero bacino del Mediterraneo, su cui le piattaforme sono posizionate strategicamente per servire ciascuna un’area di 70 chilometri di diametro. In questo modo, le squadre di soccorso possono operare su tutto il Mar Mediterraneo senza lasciare scoperta nessuna zona, moltiplicando considerevolmente le possibilità di assistere i potenziali migranti e portarli in salvo.
A bordo delle piattaforme, team medici possono prendere in carico lo stato di salute dei sopravvissuti dal momento del salvataggio fino allo sbarco a terra. Ogni piattaforma è autosufficiente dal punto di vista energetico. Dispone di 150 posti letto, oltre a una sala da pranzo, docce, una sala di comando e ricerca, magazzini per attrezzature e viveri, e diversi pontoni esterni per il riposo. La loro geometria e il loro sistema di ormeggio sono progettati per minimizzare l’impatto ambientale sui fondali marini.
Non solo migranti: energia e biodiversità
Le piattaforme di supporto di MAR sono pensate per essere versatili, a seconda della loro posizione sulla griglia. Quelle più vicine alla costa sono progettate per generare elettricità a basse emissioni di carbonio e offrire prospettive di sviluppo economico. Come? In diversi modi. Ad esempio, trasformando l’energia idraulica in energia meccanica che viene poi convertita in energia elettrica da un alternatore.
A seconda dell’intensità delle correnti marine nelle aree in cui sono situate, queste piattaforme multifunzionali per il backup e la generazione di energia sono situate nelle acque territoriali, per rifornire in ultima istanza le città e le infrastrutture costiere esistenti.
Studio NAB ha posizionato le piattaforme di soccorso migranti più al largo, per giocare un ruolo anche nel ripristino ecologico e nella ricerca scientifica e oceanografica. Con l’obiettivo di preservare e generare biodiversità, contribuiscono a ripopolare la fauna ittica creando vivai e rifugi per pesci adulti e giovani. Sono anche uno strumento scientifico per l’osservazione di aree marine protette e non protette, e per la previsione, l’inventario e il monitoraggio della biodiversità marina.
Affrontare le crisi sociali ed ecologiche nel Mediterraneo
MAR è un’iniziativa di ricerca che, come dicevo, nasce da una constatazione. Una constatazione drammatica: il Mediterraneo è teatro di una delle più grandi crisi migratorie, ecologiche ed energetiche dei tempi moderni, ognuna delle quali richiede un intervento urgente. È la rotta marittima per migranti più letale al mondo, un’area in cui i diritti umani e le libertà fondamentali sono violati spesso, e impunemente. Il rischio di naufragio e di morte in mare per i migranti e i rifugiati non è mai stato così alto a causa dei conflitti che accelerano le partenze dalle coste a un ritmo allarmante, e della flagrante mancanza di navi per gestire i soccorsi.
In poco più di un decennio, il Mediterraneo si è trasformato in un vero e proprio mare di sangue, con 29.589 morti e scomparse registrate dal 2014, secondo i dati dell’OIM. Una cifra sbalorditiva che è in realtà molto più alta, poiché molti migranti scompaiono senza lasciare traccia. In particolare, nei casi di persone disperse in mare o in naufragi senza superstiti. Centinaia di resti non collegati ad alcun naufragio noto si ritrovano periodicamente sulle coste. Troppe persone vittime di traffici efferati e trattate come merce fuggono da conflitti, povertà e disastri ambientali.
Il Mar Mediterraneo sta vivendo anche una delle più grandi perdite di biodiversità del mondo, con il 40% delle specie marine considerate in declino (fonte: RED 2020, Plan Bleu). Le cause? Molte: navigazione, pesca eccessiva, trivellazioni offshore, turismo, artificializzazione della costa e dei fondali, discariche costiere, inquinamento marino, microplastiche, rumore subacqueo, sversamenti di petrolio e materiali pericolosi. Una catastrofe, perché il Mar Mediterraneo ospita 17.000 specie marine conosciute, ovvero il 18% del totale mondiale. Il 78% degli stock ittici valutati è sovrasfruttato, mentre i predatori marini sono diminuiti del 41%. Il 9% dell’area marina è ufficialmente protetta, ma solo il 10% di questi siti attua piani di gestione.
Un bacino energetico da decarbonizzare
Migranti e biodiversità sono due lati di un triangolo che nel Mediterraneo comprende un terzo lato. Questo mare è anche una delle rotte marittime più trafficate del mondo, con il 17% della capacità mondiale di petroliere e 26 milioni di passeggeri delle crociere all’anno. Senza contare i 360 milioni di turisti che si concentrano in gran parte nel bacino del Mediterraneo durante i mesi estivi e nelle zone costiere, generando una gigantesca quantità di inquinamento dannoso per l’intero ecosistema marino.
Una tinozza bollente, circondata da una popolazione che entro il 2050 dovrebbe aumentare di circa 140 milioni di persone con una domanda totale di energia primaria che dovrebbe raggiungere 1.404 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. È un aumento del 67% per i soli paesi del sud.
L’attuale mix energetico del Mediterraneo è composto solo per il 15% da energie rinnovabili, di cui quasi il 60% è utilizzato per produrre elettricità. Il sistema energetico del bacino non è ancora sulla buona strada per raggiungere il livello di decarbonizzazione necessario per soddisfare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.
L’attuale mix energetico non è molto diversificato e dovrebbe aumentare con urgenza la sua quota di energie rinnovabili man mano che i paesi del bacino del Mediterraneo proseguono sulla strada dell’elettrificazione e dell’abbandono degli idrocarburi tradizionali (petrolio, gas naturale e carbone) a favore di fonti energetiche che richiedono meno risorse fossili. Prime fra tutte, è bene ricordarlo a qualche irriducibile del fossile, le energie rinnovabili come il solare, l’eolico e l’idroelettrico.
Migranti, ambiente, energia: MAR è una visione per il futuro del Mediterraneo
Il progetto MAR è ovviamente passibile di osservazioni, e mentre sto scrivendo immagino già le possibili critiche (costruttive, o anche stupide) che leggerò sui canali social di Futuro Prossimo. Prendetelo come viene: è il tentativo, sempre perfettibile, di combinare il soccorso dei migranti, la protezione della biodiversità e la produzione di energia rinnovabile.
Crisi multisistema, piattaforme multifunzione. Proporre una risposta integrata alle crisi che affliggono questo mare cruciale è una cosa perfettamente logica.
Ripeto, va sempre valutata ed eventualmente perfezionata. Un progetto del genere richiede un imponente sforzo di coordinamento e investimento a livello internazionale. Non pensiamo sia infattibile, però. Non nell’era in cui vediamo miliardi di euro andare in fumo per guerre varie. Di fronte all’urgenza e alla portata delle sfide in gioco, non possiamo permetterci di non esplorare soluzioni coraggiose e visionarie come MAR.
Ripensare il futuro del Mediterraneo è ripensare al nostro futuro comune. Un futuro in cui solidarietà, sostenibilità e innovazione possono, devono tracciare nuove rotte.