Il sogno dell’energia da fusione sembrava a portata di mano, ma il progetto ITER ci ricorda che le grandi rivoluzioni richiedono tempo. Con 15 anni di ritardo e miliardi di dollari in più, la domanda diventa: la fusione è ancora il nostro futuro energetico?
Un’odissea ingegneristica
Il progetto ITER, iniziato nel 2010 con un budget di $5 miliardi e la promessa dei primi esperimenti entro il 2020, si è trasformato ben presto in una delle più grandi sfide ingegneristiche della storia umana. Oggi, con un budget lievitato a $22 miliardi e una nuova data di completamento fissata al 2039, ITER sembra arrivato al canto del cigno. Destinato all’obsolescenza prima ancora della sua partenza.
I ritardi del progetto ITER non sono semplicemente il risultato di una cattiva gestione. Magari fossero solo quelli. Piuttosto, riflettono la stessa natura pionieristica del progetto. Certo, alcuni problemi tecnici imprevisti: certo, difetti di fabbricazione in componenti critici (leggete il box). Non c’è dubbio, anche il COVID ha fatto i suoi danni. Principalmente, però, il “peccato originale” è l’evoluzione continua della tecnologia di fusione.
L’esempio degli scudi termici
Per darvi un’idea emblematica delle sfide affrontate da ITER, vi cito solo la questione degli scudi termici (ce ne sarebbero diverse). Progettati per proteggere il reattore da temperature 27.000 volte superiori a quelle della superficie solare, questi componenti cruciali si sono rivelati difettosi dopo l’installazione. La loro sostituzione non solo causa ritardi significativi ma richiede anche ingenti risorse finanziarie aggiuntive.
In altri termini: ITER fa acqua? È la sua fine? Non così presto.
Nella sfortuna, gli slittamenti temporali potrebbero salvare il progetto ITER. Il direttore generale Pietro Barabaschi sostiene che costruire ITER con un design ormai obsoleto sarebbe stato illogico. I progressi compiuti da altri reattori, come il KSTAR sudcoreano o il “sole artificiale” cinese (attualmente il progetto in fase più avanzata) hanno portato a innovazioni significative che ITER non può ignorare.
Il reattore KSTAR, per esempio, ha recentemente stabilito un record mantenendo una temperatura di 100 milioni di gradi Celsius per 48 secondi, grazie all’uso di deflettori in tungsteno. Questa scoperta ha spinto il team del progetto ITER a riconsiderare l’uso del berillio per i propri scudi termici, optando invece per il tungsteno. Un cambiamento apparentemente semplice che richiede, in realtà, una riprogettazione radicale di molteplici sistemi.
Il progetto ITER è ancora vivo, ma c’è da aspettare
Il nuovo calendario del progetto ITER, che ora prevede le prime reazioni di fusione nel 2039, resta insomma in piedi. Tuttavia, solleva domande cruciali sul ruolo della fusione nella transizione energetica globale. È ormai chiaro che l’energia da fusione, almeno quella promessa da ITER, non potrà contribuire significativamente agli obiettivi di zero emissioni nette entro il 2050. E dopo?
Oltre il 2050: il vero potenziale della fusione
L’importanza della ricerca sulla fusione rimane immutata. Non sarà la soluzione immediata al cambiamento climatico, ma le sue promesse sono talmente grandi da meritare tutti gli sforzi possibili.
Le grandi rivoluzioni scientifiche richiedono tempo, risorse e, soprattutto, perseveranza. Stiamo parlando pur sempre di uno dei più ambiziosi tentativi dell’uomo di domare le forze della natura per il bene dell’umanità.
Il cammino è lungo e tortuoso, ma ogni passo ci avvicina a un futuro in cui l’energia pulita e abbondante potrebbe trasformare radicalmente la nostra società e il nostro rapporto con il pianeta.