Cinque cerchi, mille sfumature di verde, molte con un tono scuro. Le Olimpiadi di Parigi 2024 stanno per presentarsi al mondo come un evento rivoluzionario per il clima: ma tra promesse ambiziose e realtà dei fatti, il confine tra sostenibilità e greenwashing si fa sempre più sottile ogni giorno che ci separa dalla cerimonia di apertura.
Olimpiadi di Parigi 2024, un’impresa titanica
Figuratevi la scena: dovete organizzare la festa del secolo, ma con un piccolo dettaglio: non bisogna lasciare nemmeno una piccola impronta di carbonio. Ecco, questo è più o meno il compito che si sono dati gli organizzatori delle Olimpiadi di Parigi 2024. Un’impresa titanica, considerando che stiamo parlando di un evento che mobilita migliaia di atleti, milioni di spettatori e tonnellate di infrastrutture.
Tony Estanguet, presidente di Parigi 2024, esibisce orgoglio: “Abbiamo promesso di dimezzare l’impronta di carbonio rispetto alle Olimpiadi di Londra 2012”. Bello, vero? Ma come diceva un vecchio saggio: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. O in questo caso, la Senna (balneabile, grossomodo).
Il diavolo (verde) si nasconde nei dettagli
A prima vista, il piano sembra impeccabile. Sentite qua. L’80% degli ingredienti per il catering sarà di provenienza locale, riducendo così le “miglia alimentari”. Il cibo animale sarà ridotto del 50-60%, mentre i prodotti a base vegetale raddoppieranno. Quattro sedi su cinque di Parigi 2024 si trovano entro un raggio di 10 chilometri. E dulcis in fundo, il 100% dell’elettricità utilizzata nelle sedi olimpiche sarà rinnovabile.
Come in ogni buon thriller, però, c’è un colpo di scena. Secondo un rapporto di Carbon Market Watch e Éclaircies, la strategia “manca di metodologie dettagliate e di un monitoraggio completo, e non è comunicata chiaramente”. In parole povere: parbleu, belle parole, ma dove sono i fatti?
Il caso del reef di Tahiti
E poi c’è la questione di Tahiti. No, non è il nome di un nuovo cocktail olimpico, ma il luogo scelto per le gare di surf. Peccato che per installare una torre (del tutto opzionale, tra l’altro) si sia danneggiata una barriera corallina. Cose che succedono. Sono ragazzi.
Abbiamo promesso di dimezzare l’impronta di carbonio rispetto alle Olimpiadi di Londra 2012.
Tony Estanguet, Presidente Olimpiadi di Parigi 2024, in un’intervista a Time Magazine
Sì, ma a che prezzo? verrebbe da chiedersi.
Altri elefanti nella cristalleria olimpica
Devo farlo, mi scuserete. Non posso esimermi. Devo puntualizzare almeno un altro paio di cose. Parlare di trasporto, ad esempio. Circa l’85% delle emissioni di gas serra per i grandi eventi sportivi deriva dai viaggi di tifosi, giornalisti e atleti. E Parigi 2024 come pensa di affrontare questo problema? Con i famigerati “carbon offset”, una pratica che molti esperti considerano poco più di un trucco contabile.
Serve altro? Mi arrivano in ordine sparso, via via che dirigo lo sguardo. Che ne pensate della decisione di costruire una pista di skate temporanea in Place de la Concorde? Un report di MediaPart la definisce “una valanga di cemento”. Wow. Il cemento, per chi non lo sapesse, è considerato il materiale più distruttivo sulla Terra. Non esattamente il massimo per un evento che si vanta di essere “storico per il clima”.
Olimpiadi di Parigi 2024, è l’ora della premiazione
Ci siamo, il podio è allestito. Siamo pronti per dare la medaglia d’oro: ma per quale disciplina? Le Olimpiadi di Parigi 2024 saranno davvero le più verdi della storia? La giuria è riunita per esaminare il photofinish, ma l’impressione è che ci sia ancora molta strada da fare prima di poter parlare di vere Olimpiadi sostenibili.
E non è neanche colpa della Ville Lumière. Come ha detto Madeleine Orr, autrice di “Warming Up: How Climate Change Is Changing Sport”: “Non esiste ancora una versione sostenibile dei Giochi”. E forse è proprio questo il punto. Forse, invece di cercare di rendere verde un evento intrinsecamente insostenibile, dovremmo ripensare l’intero concetto di Olimpiadi.
Al momento, sembra che l’unico record che le Olimpiadi di Parigi 2024 rischiano di battere sia quello del greenwashing più elaborato della storia dello sport. Ma hey, almeno ci stanno provando, no? E in un mondo dove il cambiamento climatico bussa sempre più forte alla porta, forse anche un tentativo imperfetto è meglio di niente. O forse no. Ai posteri, e agli ambientalisti, l’ardua sentenza.