Questa è stata senza alcun dubbio la settimana in cui la diffusione aerea del coronavirus è diventata un importante tema nella discussione pubblica sulla lotta al Covid-19.
Oltre 200 scienziati provenienti da tutto il mondo hanno consegnato una lettera all’Organizzazione mondiale della sanità, invitandola a prendere sul serio le prove crescenti che il coronavirus si trasmette nell’aria.
L’OMS ha riconosciuto che sono necessarie ulteriori ricerche “per indagare urgentemente su tali casi e valutare il loro significato per la trasmissione del Covid-19”.
“Onestamente non so cosa la gente stia aspettando”, afferma Chad Roy, microbiologo della Tulane University negli USA. “Non è necessario che l’OMS dichiari che è una malattia aerea per confermarlo. In termini di prove scientifiche è quanto di più chiaro possa esserci.”
Diffusione aerea del coronavirus: è davvero “airborne”?
Cosa significa veramente “airborne” in questo contesto? È fondamentalmente un problema di dimensioni. Gli studi sembrano abbastanza sicuri del fatto che SARS-CoV-2 si diffonda attraverso minuscole goccioline che contengono particelle virali in grado di provocare un’infezione.
Per un virus aereo, tuttavia, questo ha significati diversi, a seconda dell’esperto con cui si parla. In genere significa che può diffondersi per l’inalazione di piccole particelle note come aerosol su lunghe distanze, forse anche attraverso stanze diverse.
Per questo, in tema di diffusione aerea del Covid-19, quando si chiede ad alcuni professionisti se il virus è disperso nell’aria, la risposta è No. Non stiamo vedendo la trasmissione su quel tipo di distanze.
C’è dibattito, però, anche sul significato di “aerosol”
Le goccioline che trasportano particelle virali nell’aria possono essere di qualsiasi dimensione, ma mentre quelle più grandi cadranno rapidamente a terra o su altre superfici, quelle più piccole (solo pochi micron di diametro) resteranno nell’aria per un po’, col rischio di inalarle.
La parola “aerosol” è usata principalmente per descrivere queste particelle più piccole.
Se SARS-CoV-2 è disperso nell’aria, è ben lungi dall’essere l’unica malattia di questo tipo. Il morbillo, ad esempio, è noto per essere in grado di durare nell’aria fino a due ore. La tubercolosi, sebbene un batterio, può restare nell’aria per sei ore.
Le prove della diffusione aerea del Covid-19 però, come dice il microbiologo, sembrano già tante.
Parecchi grandi studi indicano, tra le vie principali di diffusione, il fatto che il coronavirus resti nell’aria. Altri studi hanno suggerito che il virus può rimanere nelle goccioline aerosolizzate per ore.
Il nuovo studio condotto da Roy e dal suo team di Tulane, infine, mostra che particelle aerosolizzate infettive di SARS-CoV-2 potrebbero effettivamente indugiare nell’aria fino a 16 ore e mantenere l’infettività molto più a lungo di MERS e SARS-CoV-1.
Non sappiamo ancora cosa dia a SARS-CoV-2 questo “vantaggio aereo”. Ma potrebbe essere uno dei motivi per cui questa è una pandemia, e non semplicemente un piccolo focolaio come qualsiasi altro coronavirus.
Se il coronavirus è nell’aria come si sta al sicuro?
Se il virus è disperso nell’aria non è solo una questione scientifica. Significherebbe anzitutto che nei luoghi in cui il virus non è stato adeguatamente contenuto (ad esempio, gli USA), l’economia va riaperta più lentamente, in base a normative più rigorose con pratiche sanitarie più attente.
Significherebbe che le nostre attuali tattiche per fermare lo spread non sono sufficienti.
Roy vorrebbe vedere molto più rigore sull’uso delle maschere fuori casa. “Questo virus si diffonde rapidamente”, dice. “E la mascherina può fare tantissimo per interrompere la sua trasmissione. Penso che qualsiasi cosa possa fermare la produzione di aerosol nell’ambiente è utile”.
Con tutti i limiti del caso
Sappiamo che sebbene le mascherine possano limitare la diffusione di particelle più grandi, sono meno utili per quelle più piccole, specie se non si indossano bene.
“Vorrei che smettessimo di fare affidamento sull’idea che le mascherine risolveranno tutto e appiattiranno la curva dei contagi”, afferma il microbiologo. “È un pensiero magico. Non accadrà.” Perché le maschere facciano davvero la differenza, dovrebbero essere indossate sempre, anche in famiglia. Ed è una cosa pressoché impensabile, certamente impossibile.
Tutte le prove di molti, molti studi tendono comunque alla conclusione che la trasmissione aerea è “la modalità di trasmissione primaria e forse più importante per SARS-CoV-2”.
In tal caso il tempo e gli sforzi dedicati alla sanificazione di ogni singola superficie più e più volte sia stata una grande perdita di tempo. “Non dobbiamo preoccuparci così tanto di pulire ogni singola superficie che tocchiamo. L’attenzione dovrebbe essere su altri fattori, come dove passiamo il nostro tempo,” dice Roy.
Spazi affollati
Una delle maggiori domande che abbiamo ancora sul Covid-19 è la quantità di carica virale necessaria per causare l’infezione.
Se il coronavirus è nell’aria la risposta cambia: le particelle più piccole non porteranno una carica virale grande quanto quelle più grandi, ma poiché possono indugiare nell’aria molto più a lungo, potrebbe non importare: si accumuleranno in concentrazioni più grandi e si distribuiranno più ampiamente e più a lungo.
Più persone entrano ed escono da uno spazio interno, più è probabile che si presenti qualcuno infetto. Più a lungo trascorrono gli individui infetti in quello spazio, maggiore è la concentrazione di virus nell’aria nel tempo.
Questa è una notizia particolarmente negativa per gli spazi in cui le persone si riuniscono per ore e ore, come ristoranti, bar, uffici, aule e chiese.
La trasmissione aerea non significa necessariamente che questi posti debbano rimanere chiusi (anche se sarebbe l’ideale): ma pulire le superfici con un disinfettante e far indossare a tutti delle maschere non sarà sufficiente.
Per riaprire in sicurezza, questi punti non dovranno solo ridurre il numero di persone autorizzate all’interno in un dato momento, dovranno anche ridurre il tempo che le persone trascorrono lì.
Anche la ventilazione deve essere una priorità più alta. Questo sarà un grosso problema per gli edifici più vecchi che di solito hanno sistemi di ventilazione peggiori, e le aree con molti di questi potrebbero aver bisogno di rimanere chiuse per molto più tempo.
L’impatto della diffusione asintomatica (trasmissione da parte di persone che non si sentono male) e dei superscoverers aggrava ulteriormente il problema. Ma (è qui, finalmente, una buona notizia) una ricerca condotta dal Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha dimostrato che in presenza di luce UV, le particelle aerosolizzate delle dimensioni studiate dai ricercatori di Tulane sarebbero scomparse in meno di un minuto.
Bene, dunque, i robot con UV dislocati in ospedali, centri commerciali, negozi e stazioni per sanitizzare gli ambienti.
Per molti luoghi, i danni della chiusura economica potrebbero essere un prezzo troppo alto per tenere il virus sotto controllo. La migliore strategia sarebbe comportarsi come nei primi periodi del lockdown. È possibile? È impossibile?
Le costanti, in ogni caso, devono essere sempre le stesse, se si vuole contrastare la diffusione aerea del Covid-19.