Un milione di volte la fantascienza ha immaginato una Terra completamente automatizzata dove i robot collaborano con gli umani in ogni modo possibile.
Di volta in volta dipingiamo un mondo robotico in cui le macchine ci aiutano a ripulire i danni che abbiamo fatto (WALL-E). O un risultato post-apocalittico di intelligenza artificiale che vede gli umani come una piaga da estirpare (Terminator). O ancora un mondo dove umani e robot coesistono pacificamente (L’Uomo Bicentenario).
Se dovessimo invece valutare nel complesso la prevalenza di posizioni, direi che la maggior parte delle persone tende a considerare più i pericoli che le opportunità. Da qui a 1000 anni, la nostra immaginazione vede un futuro robotico un pizzico più simile a un’Apocalisse, e decisamente diverso da un paradiso terrestre.
Futuro robotico: perchè questo pessimismo?
Tendiamo a confrontare la ricerca su robotica e intelligenza artificiale ad altri progressi tecnologici simili che spesso hanno avuto risultati spaventosi. In effetti, il lavoro sull’energia atomica è iniziato con le bombe, è proseguito con le centrali nucleari (anche qui luci e ombre) e non ha ancora mostrato aspetti di abbagliante luminosità.
Per guadagnare la fiducia di tutti, il mondo robotico deve essere progettato da zero con regole precise sul suo rapporto con l’umanità. L’intelligenza artificiale di un robot deve essere in grado di riconoscere gli esseri umani ed evitare a tutti i costi di danneggiarli. Do you know Asimov?
Non è facile, se considerate che mentre leggete questo articolo USA, Russia, Cina e altri paesi stanno sviluppando programmi per droni e robot in grado di uccidere persone. Anche autonomamente.
Il problema robotico è tutto qui
Stiamo per entrare in un’era importante, ma continuiamo ad ignorare i consigli di due generazioni di scienziati. Gente che indaga e studia i problemi di un futuro robotico da anni. Geni, visionari e pionieri della tecnologia come Kurzweil, Musk, Hawking, Harari, Gawdat, Asimov, Vinge e molti altri ci avvertono da decenni sui pericoli intrinseci dell’IA e della robotica.
Io, come tutti, non voglio una Terra dominata da robot assassini. Mi piacerebbe più un mondo tipo quello dei Jetsons (“I pronipoti”). Un mondo robotico in cui le nostre creazioni lavorano al nostro fianco per rendere le cose migliori: se il lavoro di oggi si concentra solo sugli utilizzi militari dei robot, però, dobbiamo prepararci per un futuro molto buio.
Siamo tormentati dalla possibilità che robot e IA che prendano coscienza di sé e tentino di conquistare il mondo o spazzarci via perchè semplicemente siamo consapevoli che questa è una possibilità. E conosciamo anche noi stessi: gli esseri umani hanno una straordinaria capacità di creare nuovi modi per mettersi in pericolo.
Per evitarlo abbiamo solo due opzioni
Prima opzione: abbandonare e/o rendere illegale tutto (e dico tutto) quanto riguardi l’intelligenza artificiale, vero cervello di un futuro robotico. Funzionerebbe? Proprio come qualsiasi sforzo di controllare, ad esempio, le armi nucleari o ricerche mediche eticamente discutibile: no. Il desiderio umano di soddisfare la propria curiosità e ottenere vantaggi è inestinguibile. Siamo fatti così.
Seconda opzione: assicurarci che tutti si rendano conto dei potenziali pericoli e costruire un quadro all’interno del quale ogni prodotto robotico sia impossibilitato a fare qualsiasi danno ad un uomo. Una forma di senso morale? Se vogliamo. Qualcuno, peraltro, ci sta provando già.
La seconda opzione, neanche a dirlo, sembra l’unica percorribile. Specialmente se siamo alla vigilia di una Singolarità. I nostri “figli” metaforici di un mondo robotico supereranno rapidamente la nostra capacità di controllarli. Potremmo non avere alcuna garanzia che rispettino le nostre regole. Rischiamo di essere messi nella stessa posizione che noi oggi diamo, ad esempio, ad un gorilla. Un animale vicino a noi, eppure dalle possibilità molto limitate.
Per questo è meglio instillare in loro un senso morale (un senso morale che dovremmo per primi seguire tutti) sperando che il futuro robotico lo segua e che i dispositivi realizzati abbiano un proprio “buon senso”.