Consideralo, o no. L’idea di indossare cuffie a cancellazione di rumore con un purificatore d’aria incorporato suona davvero come una roba uscita da un futuro apocalittico. In realtà ci sono due cose che non abbiamo considerato: la prima è che si tratta di un dispositivo vero, Dyson Zone, che sarà in vendita quest’anno. La seconda è che viviamo in un presente già apocalittico.
Il quadro generale? Impressionante
Con la continua urbanizzazione della popolazione mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che 9 terrestri su 10 respirano aria che supera i limiti fissati per legge. Molte metropoli del mondo sono già tornate ai livelli di inquinamento pre-pandemia. E più di 100 milioni di persone, un quinto della popolazione dell’intera Europa, sono esposte a inquinamento sonoro pesantissimo, continuativo e a lungo termine.
Fenomeni che non sono nati ieri, ovviamente. E d’altra parte, sembra che neanche questo aggeggio tirato fuori da Dyson lo sia.
Dyson Zone e l’utopia: ascoltare musica, respirare aria pulita
Il Dyson Zone è il primo purificatore indossabile di Dyson: raccoglie gli inquinanti urbani come gas, allergeni e polveri sottili mentre riproduce audio di alta qualità e cancella il suono indesiderato. Da pubblicitario posso dire che suona bene qualsiasi cosa che si possa sintetizzare in poche parole e che presenti tre importanti vantaggi: aria pulita, buona musica, niente rumore. A chi non piacerebbe?
Questo oggetto non è uno scherzo. Quando ho visto il deposito del suo brevetto, oltre due anni fa, ne ho parlato nel blog e ho seguito il suo percorso, che viene da lontano. Nasce da 10 anni di ricerca sulla tecnologia della purificazione d’aria (l’azienda di James Dyson ha tirato fuori alcuni tra i modelli migliori in questo campo), e negli ultimi 6 anni sono stati prodotti ben 500 prototipi di Dyson Zone prima di questo.
I primi prototipi di cuffia purificatrice d’aria Dyson Zone avevano un boccaglio simile a quello per lo snorkeling, mentre motore e meccanismi entravano in uno zaino! Nei suoi sei anni di sviluppo il dispositivo si è evoluto notevolmente. Il motore miniaturizzato è finito sulla nuca, poi sono riusciti ad integrarlo “splittato” in due compressori: uno per cuffia. I miglioramenti nel design degli apparecchi di respirazione hanno portato alla versione attuale: una maschera facciale traspirante senza visiera che permette l’erogazione di aria pulita senza la necessità di coprire tutto il viso. Un nuovissimo metodo di erogazione di aria pulita e, a suo modo, una bella prova di tecnologia indossabile.
Dyson Zone e la distopia: andare in giro con una museruola
La testa mi dice che questa soluzione è davvero notevole e importante. Se il pianeta è diventato invivibile non è certo colpa di Dyson. Se a mia nonna da ragazza avessero detto che per stare al sole ci si sarebbe dovuti coprire di crema avrebbe riso di gusto, ma la verità è che ci si deve proteggere in qualche modo.
Questo sembra un modo efficace.
Ciò nonostante, mette anche i brividi. Nel mio immaginario (e in quello di tanti) l’idea di avere una maschera antigas perennemente in faccia, qualcosa che ti nasconde il sorriso, è aberrante. Non so se pagherei (e caro, visti i prezzi di Dyson non proprio popolari) per andare in giro combinato come Bane, il super cattivo della saga di Batman. Il messaggio è quello di una resa umiliante: gli uomini si sono messi in trappola da soli, e ora vanno in giro con una museruola come animali in prigione.
Non so se sarei in grado di accettarlo.
Lo so, lo so: non è tutto negativo
Sono consapevole del fatto che ci sono già un sacco di dispositivi sul mercato che possono rendere la nostra vita meno difficile. I purificatori d’aria esistono, e sono sempre più presenti, così come la consapevolezza delle persone sul tema dell’inquinamento atmosferico. È che la forma di questa tecnologia (sordi, muti) sembra isolarci sempre di più dal mondo che ci circonda invece di collegarci, e questo mi porta a chiedermi se questo è davvero il futuro che abbiamo davanti.
Guardando Dyson Zone (che reputo una macchina eccezionale, intendiamoci) sembra che la risposta possa essere “sì”. Solo il tempo ci dirà se riusciremo a ritrovare la strada della sanità mentale.