Quante volte abbiamo letto o sentito, a proposito dei social, che “se il prodotto è gratuito, tu sei il prodotto”? Più interagiamo con la piattaforma, più dati forniamo. E questi dati vengono poi usati per creare modelli sofisticati che consentono agli inserzionisti di raggiungerci con messaggi mirati. Questo modello però sta iniziando a mostrare crepe.
Le piattaforme stanno lottando per rimanere rilevanti e gli utenti stanno diventando sempre più consapevoli dei danni causati da troppo tempo passato sui social media. Molti stanno capendo di aver usato troppo i social media senza capire il vero costo della divulgazione dei propri dati. La disinformazione ampiamente promossa sui social media ha portato a una sfiducia senza precedenti nei confronti di queste piattaforme. Ed è una sfiducia giusta.
Anche per questo i social media stanno provando a correre ai ripari (sempre in nome del profitto). Una tendenza che può portare a una rivoluzione nei social media, dove la privacy e la qualità del contenuto diventano i principali valori. Ecco come potrebbe procedere la traiettoria, a partire da un dato già visibile: il crollo della spesa pubblicitaria.
Il grande motore: la pubblicità su questi modelli va sempre più giù
Quali sono le cause? Innanzitutto, la situazione economica attuale, che non aiuta di certo. E poi, in generale, la saturazione di questi social. L’atmosfera censoria, l’algoritmo che valorizza solo la litigiosità, i problemi gravi alla psiche delle persone, specie più giovani. E ancora due fattori importanti: il nuovo braccio di ferro sul trattamento dei dati tra gli enti e i social media, e il peso delle modifiche apportate da Apple al monitoraggio delle app. Questo ha ridotto l’efficacia delle piattaforme, in particolare di Facebook, nel targettizzare gli annunci e ha causato una diminuzione delle entrate di Meta di circa $12 miliardi solo nel 2022.
Anche queste, a guardarle bene, sono l’inevitabile conseguenza di ciò che i social sono diventati. Quando chiedi agli utenti se vogliono fornire le loro informazioni personali a una società, la maggior parte risponde di no. Restando ad Apple, solo il 25% degli utenti ha aderito, il che significa che il 75% delle persone che possiedono un iPhone ha chiuso il rubinetto dei dati personali gratuiti. Meta ha cercato di aggirare questo blocco, beccando 400 milioni di euro di multa per violazione del regolamento generale sulla protezione dei dati dell’UE (GDPR). Ed è solo l’inizio.
La diminuzione della spesa pubblicitaria da parte dei marchi sarà un problema serio per le piattaforme digitali, proprio perché le entrate pubblicitarie sono la loro linfa vitale. Per ora. E tra le disperate soluzioni per evitare di “morire”, anche se in qualche modo le “vecchie piattaforme” di social sono già morte ma non lo sanno” (cit. da questo post) è spuntata quella degli abbonamenti.
Fine dei social “per sempre gratis”
In principio fu Twitter. l’arrivo di Twitter Blue, un servizio a pagamento che consente agli utenti di verificare il proprio account, modificare i tweet e altro ancora per circa 8-10 dollari al mese. E l’idea, che vede ancora una volta pioniere il tanto vituperato Elon Musk (ci sarà un motivo se è di nuovo l’uomo più ricco del pianeta, e senza vendere petrolio e armi). La prospettiva di far pagare un abbonamento per l’uso dei social è ideologicamente turpe: le aziende hanno reso invivibili i social, e ora fanno pagare a noi il costo per “bonificarli”. Ma tant’è.
Evidentemente la mossa è stata recepita, perchè dopo Twitter anche Meta, che solitamente copia gli altri, ha lanciato il suo servizio di verifica a pagamento chiamato Meta Verified, che costa $ 12 al mese. Per ora comprende la verifica dell’account, l’agognato badge blu e adesivi esclusivi per le storie e i reels.
Il principio, comunque, apre almeno alla speranza di vedere i social migliorare. Una speranza per ora disattesa, perchè sembra che semplicemente si debba pagare per “qualcosa” in più: poi si è liberi di sguazzare tra polemiche sterili e perenni circoli dell’attenzione: i social non sembrano voler migliorare eticamente. Tutt’altro. Si affaccia perfino un delicatissimo odore di apartheid: non hai l’abbonamento Twitter? Dì addio all’autenticazione a due fattori. Non hai quello a Facebook? Se ti bloccano l’account e vuoi assistenti, mettiti in fila. Una fila chilometrica.
Come finirà
Il passaggio ai modelli di abbonamento a pagamento è l’ultima spiaggia per queste piattaforme di social media per rimanere rilevanti e non morire. E non è detto che funzioni, che faccia abbastanza soldi per sostituire i ricavi pubblicitari. Al momento, Twitter Blue genera solo $28 milioni all’anno (il servizio pubblicitario di Twitter ha generato oltre $4,5 miliardi). Quanto tempo ci vorrà a sostituire quegli incassi con gli abbonamenti? Se si riuscirà a farlo.
Senza contare che questa nuova aura di “elitarietà”, in contrasto con la percezione dei social fino a ieri, potrebbe allontare ulteriormente gli utenti. E magari accelerare le alternative.
Quali? Fate voi. Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, sta investendo miliardi per trasformare il suo Metaverso in realtà. Un’evoluzione dei social attuali, ma anche un modo per tornare a riproporre il modello pubblicitario che oggi, nelle forme attuali, è agonizzante. Che poi si realizzi quello pensato da lui (dubito) o qualcosa che sia più in sinergia con la realtà aumentata (il suo piano B e il “mio” piano A), lo vedremo.
In ogni caso, questo modello di social a pagamento non mi sembra la soluzione definitiva, ma potrebbe essere quella che uccide definitivamente i social come li conosciamo oggi, e ci fa voltare pagina verso il futuro.