C’è un mondo parallelo in cui ogni nostra foto su Facebook finisce nelle mani della polizia, creando uno schedario virtualmente infinito. Ah, no. Non è un mondo parallelo: è il nostro. Sta succedendo da vero, per opera di Clearview AI. Sono già 6 anni che questa controversa azienda ha raccolto ben 30 miliardi di foto da Facebook e altri social media, senza chiedere il consenso a nessuno. Il risultato? Tutti siamo potenzialmente sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine, anche se non abbiamo fatto nulla di male.
L’occhio onnipresente
Il CEO di Clearview AI, Hoan Ton-That, ha ammesso di aver raccolto le foto senza il consenso degli utenti. La ragione? Creare un’enorme banca dati di riconoscimento facciale, utile alla polizia per identificare i responsabili di crimini e atti violenti. Tuttavia, la tecnologia presenta anche seri rischi per la privacy e ha già portato a arresti ingiusti a causa di errori nel riconoscimento facciale. Le preoccupazioni legate alla privacy non sono passate inosservate. Facebook, oggi Meta, inviò già nel 2020 una lettera di diffida a Clearview, accusando l’azienda di violare la privacy degli utenti. Dal 2017 ad oggi, la banca dati è stata consultata già oltre un milione di volte.
Non si può chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati. Una volta che una foto finisce nel database di polizia voluto da Clearview, le persone coinvolte hanno poche possibilità di rimuoverla. Leggi sulla privacy frammentate in tutto il pianeta e scarso coordinamento tra paesi rendono praticamente impossibile “ripulire” lo schedario, e diradare questa gigantesca cappa di sorveglianza.
Stato globale di polizia
Negli ultimi due anni sono stati tanti i gruppi in difesa dei diritti digitali (su tutti Fight for the Future e Electronic Frontier Fund) a chiedere a gran voce il divieto dell’uso di Clearview AI da parte delle forze dell’ordine. Ciò nonostante, l’uso massivo prosegue, con tanto di test federali: chi li ha autorizzati?
La tecnologia mette tutti sotto sorveglianza, anche coloro che credono di non avere nulla da nascondere. Inoltre, le leggi possono cambiare nel tempo, trasformando azioni legali in illegali e mettendo le persone a rischio di arresto o emarginazione sociale, anche retroattiva. Il meccanismo adottato dall’azienda americana è così pervasivo da “colpire” anche chi non decide di mettere le sue foto su un social. Basta essere presenti in una foto con amici e l’impronta biometrica del proprio viso finisce nello schedario di polizia di Clearview.
Oltre ogni controllo
In Europa ci siamo “forse” mossi per tempo (anche se non so quanto potrà durare questa “moratoria”). Altrove, come negli USA, l’utilizzo di Clearview AI o di altre tecnologie di riconoscimento facciale da parte delle forze di polizia non è monitorato, né soggetto a regolamentazione.
Si tratta di una questione gigantesca, colpevolmente sottovalutata anche dai media, pure così attenti alle questioni sui diritti digitali quando comprendono minuetti “di moda” sui temi del momento. L’uso diffuso di Clearview AI solleva interrogativi importanti sulla privacy, la sorveglianza di massa e i diritti civili, che devono essere affrontati per proteggere la libertà e la sicurezza delle persone.