Un gruppo di ricercatori pianifica l’invio di cellule tumorali nello spazio, dopo che una ricerca in ambiente con microgravità ha mostrato notevoli effetti.
“Molte, troppe persone accanto a me hanno iniziato ad ammalarsi di cancro: è stato lo stimolo principale ad iniziare le mie ricerche,” dice Joshua Chou, ricercatore di ingegneria biomedica alla University of Technology di Sidney.
Joshua non vede l’ora di osservare il comportamento delle cellule tumorali in completa assenza di gravità, dopo le sue ricerche su come evitare danni alle ossa nello spazio.
“Non so se riusciremo mai a sviluppare una vera cura unica contro il cancro: probabilmente accomuniamo sotto lo stesso nome alcune malattie diverse. E poi ogni soggetto reagisce diversamente,” dice Chou. “Ma la mia domanda è sempre stata la stessa: c’è qualcosa che tutte le forme di cancro hanno in comune? È uno dei motivi che mi hanno spinto a sistemare cellule tumorali nel dispositivo di microgravità”.
Il cancro nello spazio
I risultati iniziali osservati da Chou hanno mostrato effetti davvero radicali.
“Abbiamo studiato cellule tumorali da quattro tipi diversi di cancro e quattro diverse parti del corpo: seno, ovaie, polmoni e naso. In condizioni di microgravità, dall’80% al 90% di queste cellule tumorali muore in appena 24 ore”.
Per questo Joshua Chou vuole inviare nel 2020 campioni di cellule tumorali sulla ISS, Stazione Spaziale Internazionale.
Vogliamo esplorare i risultati dovuti alla microgravità, o capire se nello spazio si aggiungono altri fattori, come ad esempio le radiazioni solari.
“Ci sono grosse difficoltà tecniche. Attualmente è complicato conservare correttamente le cellule per inviarle nello spazio, e anche recuperarle presenta grandi incognite,” dice il ricercatore.
Non è la prima volta che cellule tumorali viaggiano nello spazio, purtuttavia. Ne sa qualcosa Daniela Grimm, professoressa di biologia gravitazionale e medicina rigenerativa traslazionale all’Università di Magdeburgo, in Germania.
Nel 2017, la Grimm ha condotto un esperimento per testare il comportamento nello spazio delle cellule di cancro alla tiroide. Un piccolo contenitore con dentro cellule tumorali è stato lanciato sulla navicella SpaceX Dragon.
“Questa nuova ricerca è straordinaria, conferma i nostri risultati e li estende ad altri tipi di cancro,” dice la Grimm.
A gravità zero le cellule “programmano” la loro morte
Per circa 20 anni i ricercatori hanno provato a capire come fanno le cellule a svilupparsi in gruppi tridimensionali (i cosiddetti sferoidi) in ambienti con microgravità. È un comportamento che ricorda più quello dei tumori che delle cellule coltivate nei terreni di coltura in laboratorio.
Gli sferoidi sono usati nella ricerca che punta a individuare biomolecole in grado di portare nel corpo sostanze attive, perché incorporano molte diverse proteine che tra le altre cose inducono la morte programmata delle cellule.
Nelle cellule sane, questo “suicidio biologico” è un meccanismo che assicura un giusto ricambio eliminando cellule vecchie o danneggiate. Nei tumori, invece, questa forma di “morte” cessa: le cellule tumorali sopravvivono e continuano a proliferare.
L’obiettivo della ricerca e dei suoi prossimi sviluppi spaziali è quello di sviluppare farmaci capaci di stimolare proteine che inducano al suicidio le cellule tumorali.
Prof. Bizzarri (ex Presidente ASI): “Stime fantasiose”
Dalla comunità scientifica italiana arrivano perplessità rispetto alla ricerca. Per l’oncologo ed ex Presidente del Consiglio tecnico Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana Prof. Mariano Bizzarri è davvero singolare che il dottor Chou, “pur non avendo alcuna esperienza e nessuna pubblicazione al suo attivo, sia giunto a maturare idee (senza peraltro condurre direttamente alcun esperimento!) su cui moltissimi scienziati studiano ormai da trent’anni, comunicando i loro risultati in convegni, pubblicando sulle più accreditate riviste scientifiche, nell’alveo di specifici programma di Biomedicina Spaziale organizzati dalle agenzie spaziali (NASA e ESA).”
Per Bizzarri, ricercatore presso il dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma, non solo le stime di Chou “sono fantasiose”, ma “si è già studiato nel dettaglio il meccanismo d’azione” e Chou dovrebbe “informarsi bene prima di ripercorrere sentieri verso mete che la Scienza ha già raggiunto e valicato da tempo.”