Era il 12 marzo 1989 quando Tim Berners-Lee, un informatico che lavorava al CERN di Ginevra, inviò un memo che proponeva un “sistema ipertestuale distribuito” per collegare le informazioni sui vari progetti del centro di ricerca. Quel memo segnò la nascita del World Wide Web, l’invenzione che avrebbe cambiato per sempre il modo in cui comunichiamo e accediamo alle informazioni. Oggi, 35 anni dopo, Berners-Lee sta lavorando a una nuova evoluzione.
Ma torniamo un attimo indietro
Quando Tim Berners-Lee inviò quel memo nel 1989, i suoi colleghi al CERN non capirono subito la portata della sua idea. Dopotutto, il CERN era un posto dove si costruivano grandi acceleratori di particelle, non un think tank per smanettoni informatici. Perché avrebbero dovuto interessarsi a alla “bizzarra” idea di collegare le informazioni in una rete estesa di computer?
Ma Berners-Lee vedeva nel suo progetto un modo per facilitare il lavoro dei ricercatori. All’epoca, al CERN lavoravano diverse migliaia di scienziati, ma le informazioni sui loro progetti erano isolate in blocchi separati. Collegare queste informazioni attraverso una rete di computer oggi sembra ovvio, eppure ci vollero ben 18 mesi prima che Tim Berners-Lee ottenesse il permesso di dedicarsi a tempo pieno alla sua idea.
Così Tim Berners-Lee “partorì” il web
Nel dicembre 1991, Berners-Lee pubblicò la prima pagina web per gli utenti del CERN. L’anno successivo distribuì gratuitamente il suo software. La crescita fu esponenziale: nel 1994, con oltre 10.000 server web online, Berners-Lee capì che servivano degli standard. Si trasferì al Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove fondò il World Wide Web Consortium (W3C) per assicurarsi che la natura aperta e libera da royalty del web fosse sancita nei suoi principi fondanti.
Fu in quegli anni che Tim Berners-Lee iniziò a parlare di “web semantico”. Un’idea che si basa su metadati e relazioni.
Pensate a una versione del web leggibile dalle macchine, che aggiunge contesto e struttura alle informazioni. In questo modo, puoi chiedere cose come ‘fammi ascoltare musica scritta da persone nate in città del Minnesota con meno di 200.000 abitanti.
Tim Berners-Lee in un video al MIT, 2010
In poche parole, se le informazioni sono collegate tra loro (e liberamente accessibili) possono essere usate in modi originali, imprevedibili, genuini. Liberi. Un concetto che non può funzionare se i dati sono isolati o controllati da singole aziende: per questo, in un certo senso, i social hanno pugnalato più e più volte il web. Forse, anzi, lo hanno già ammazzato. Di certo, è a pezzi (anche per motivi politici).
La spinta per un web più aperto
A 20 anni esatti dalla prima “fondazione”, nel 2009 Tim Berners-Lee ha contribuito a fondare la World Wide Web Foundation, che mira a “lottare per un mondo in cui tutti abbiano un accesso economico e significativo a un web che migliori le loro vite e protegga i loro diritti”. Come? Con la terza evoluzione del web, che chiama “Web 3.0”.
Attenzione a non confonderlo con il Web3, che si basa interamente su blockchain e criptovalute. Il Web 3.0, invece, rimane fedele ai principi fondanti di apertura e assenza di royalty, combinando le idee chiave del web semantico e del controllo degli utenti sui propri dati.
Nel 2016, Berners-Lee ha creato il protocollo Solid, un “single sign-on per il web”, come l’ha definito in un’intervista nel febbraio 2023. Cosa significa?
Significa che c’è una differenza fondamentale col web odierno. Invece di avere i propri dati sparsi su centinaia di aziende, come accade oggi, con Solid i dati di un utente restano suoi. Una sola “capsula” (Pod) contenente i dati. Niente più decine e decine di password.
Ogni sviluppatore di app può accedere ai dati di un utente, o a una parte di essi, chiedendo accesso al suo pod, con il suo permesso. Berners-Lee ha fatto l’esempio di condividere dati con un’app per la pianificazione delle vacanze. “Mostro all’app tutti i dati nel mio pod sulle vacanze che abbiamo fatto in passato, solo per aiutarmi a trovare la prossima. Poi spariscono, l’app non ha più accesso”. Claro?
L’idea di Tim Berners-Lee ha bisogno di sostegno
Per far funzionare Solid, Berners-Lee ha capito di dover coinvolgere governi e grandi aziende. Per questo ha fondato Inrupt insieme a John Bruce. L’idea della società è di “galvanizzare gli sforzi” intorno al protocollo Solid e costruire “una versione per enti di tutto il sistema”, rendendo Solid sicuro e scalabile per l’uso da parte di governi e grandi organizzazioni che vogliono usare i dati in modo più etico e consensuale.
Come è andata fino ad ora? Negli oltre cinque anni dalla sua fondazione, Inrupt ha ottenuto alcuni successi. Ad esempio ha lavorato con il governo fiammingo per creare Athumi, una “data utility company” che dà a consumatori e aziende delle Fiandre i propri pod per archiviare i dati personali. Nel 2022 ha collaborato con la BBC per una sperimentazione di sei mesi. Il sito di Inrupt cita “clienti” come i governi di Regno Unito e Svezia, la banca Natwest, il servizio sanitario nazionale britannico e varie organizzazioni americane.
Finora, però, l’impatto di Inrupt non è stato dirompente. Ma Tim Berners-Lee è ottimista: la crescente consapevolezza delle persone riguardo ai propri dati sarà un fattore chiave del cambiamento.
Un futuro da scrivere
Le persone si renderanno conto che fondamentalmente tutto ciò che funziona e non dà loro i dati in tasca li sta in qualche modo derubando del potere. Non ci sarà improvvisamente un giorno in cui tutto passerà al nuovo sistema, ma incrementalmente e inesorabilmente, tutto si sposterà in questo nuovo mondo molto più potente.
Tim Berners-Lee
Che dire? Me lo auguro. La visione di Berners-Lee per il Web 3.0 è ambiziosa: un web in cui gli utenti hanno il controllo dei propri dati, le informazioni sono interconnesse e accessibili, e i principi fondanti di apertura e assenza di royalty sono preservati. Un ritorno al futuro, insomma.
Realizzare questa idea però non sarà facile: richiederà la collaborazione di governi, aziende e sviluppatori, e un cambiamento di mentalità da parte degli utenti.
Ma se ci riuscirà, il risultato sarà un web più equo, aperto e controllato dagli utenti.
Un web in cui i dati sono una risorsa condivisa, non una merce da sfruttare. Un web che realizza appieno il potenziale che Tim Berners-Lee ha intravisto 35 anni fa, quando ha proposto per la prima volta il World Wide Web.