Oggi il tunnel della Manica è una realtà data per scontata, un simbolo di unione tra il Regno Unito e l’Europa continentale. Pochi però sanno che l’idea di questo collegamento sotterraneo affonda le sue radici nell’Ottocento, in un’epoca di slanci visionari e timori geopolitici. La storia dei primi tentativi di realizzare un “Eurotunnel” nell’800 è un affascinante intreccio di ingegneria all’avanguardia, sogni di fratellanza tra i popoli e oscure macchinazioni militari. Un capitolo poco noto ma cruciale nella secolare relazione tra l’isola britannica e il continente. Mi ha affascinato tantissimo, e ve lo propongo.
I primi progetti: Albert Mathieu e la visione “napoleonica”
Le prime proposte per un tunnel sotto la Manica risalgono addirittura alla fine del Settecento, ma è nella prima metà dell’Ottocento che l’idea inizia a prendere forma. Nel 1802, durante una breve tregua nelle guerre napoleoniche, l’ingegnere minerario francese Albert Mathieu presenta quello che si ritiene essere il primo progetto dettagliato: un tunnel ventilato da enormi camini di ferro che spuntano dal mare, con un’isola artificiale e un porto a metà strada, sulla secca di Varne. Il piano, esibito alla scuola francese di ingegneria mineraria e al parlamento, attira l’attenzione di Napoleone Bonaparte, che lo porta all’attenzione del politico britannico di opposizione Charles James Fox. Ma il ritorno della guerra affossa il progetto.
È però con Aimé Thomé de Gamond, geologo e ingegnere francese, che l’idea dell’Eurotunnel ante litteram compie passi da gigante. Negli anni ’30 dell’Ottocento, Thomé de Gamond produce una varietà di piani, da vasti ponti a tubi di ferro sul fondale. Ma la mancanza di conoscenze geologiche frena lui e i suoi contemporanei. Non si sa se lo stretto di Dover sia una faglia tra le coste o il risultato dell’erosione di un antico ponte di terra. Nel primo caso, un tunnel sarebbe quasi impossibile.
Aimé Thomé de Gamond: il padre, anzi: il nonno dell’Eurotunnel
Per risolvere il mistero, Thomé de Gamond compie tre straordinarie immersioni in solitaria nel 1855. Appesantito da 72 kg di selce, con tappi di lardo nelle orecchie e olio d’oliva in bocca per espellere l’aria senza ingerire acqua, riesce a scendere oltre 30 metri per prelevare campioni del fondale, risalendo poi grazie a dieci vesciche di maiale gonfiate. L’analisi conferma che Gran Bretagna e Francia erano un tempo collegate, e che gli strati geologici sono continui. Essendo la roccia gesso tenero, non servirebbe trivellare o usare esplosivo. Un tunnel diventa fattibile.
La scoperta arriva in un momento fertile per scienza e tecnologia in Europa. Le ferrovie, in particolare, sono all’avanguardia del progresso: la prima linea commerciale, Liverpool-Manchester, apre nel 1830; nel 1850 già 20.000 km di binari attraversano il continente. E le gallerie, parte integrante delle ferrovie fin dall’inizio, vengono realizzate su scala sempre più eroica, come il traforo del Moncenisio (12 km) tra Francia e Italia o il tunnel del San Gottardo (15 km), il più lungo del mondo all’inaugurazione nel 1882.
In questo contesto, l’assenza di un collegamento attraverso la Manica appare un’anomalia, un fallimento del progresso economico e sociale. Come scrive l’ingegnere e sostenitore del tunnel James Chalmers nel 1861, guardando la mappa ferroviaria dell’Europa si vedono linee che convergono verso le grandi città. Ma c’è un’eccezione. Quale? Sul continente da nord, est e sud, e in Inghilterra da sud, ovest e nord, i binari si avvicinano, tendono le loro braccia di ferro come per abbracciarsi, e poi si fermano. Solo oltre 130 anni dopo si metteranno di nuovo in moto.
Il progetto prende forma ma…
L’entusiasmo per il progresso tecnologico va di pari passo con l’ascesa di un liberalismo internazionalista, incarnato da eventi come la Grande Esposizione di Londra del 1851 e il trattato di libero scambio anglo-francese del 1860. Gli artefici di quest’ultimo, Richard Cobden e Michel Chevalier, insegnano che le forze di fondo della storia stanno spingendo inesorabilmente verso l’unità dell’umanità: migliori comunicazioni e commerci renderanno obsoleta la guerra. Non hanno esattamente centrato il punto, ma non significa che non abbiano ragione su periodi più lunghi. Ad ogni modo, entrambi appoggiano il progetto di tunnel, vedendolo come un passo verso l’eventuale unificazione europea, un “vero arco di alleanza”, nelle parole attribuite a Cobden e spesso citate dai fautori del piano. Per questo motivo, anche se non si tratta dell’identico progetto, quello che volevano realizzare all’epoca era un vero e proprio Eurotunnel.
Ad ogni modo, un anno dopo le sue immersioni (nel 1856) Thomé de Gamond presenta una proposta completa per un tunnel ferroviario a doppio binario tra Folkestone e Cap Gris-Nez. Il progetto, lodato da ingegneri di spicco e con il sostegno della regina Vittoria, del principe Alberto e di Napoleone III, sembra avviato alla realizzazione. Ma ancora una volta, un deterioramento delle relazioni tra le due nazioni lo fa naufragare. Dopo un tentativo di assassinio di Napoleone da parte di un nazionalista italiano con una bomba fabbricata in Gran Bretagna, la stampa britannica alimenta timori di un’invasione, cinicamente sfruttati dal primo ministro francofobico Lord Palmerston. Per lui, un Eurotunnel rimuoverebbe “la nostra difesa naturale contro un nemico continentale”. Niente da fare, anni ’50 del XIX secolo.
Finalmente la conferma: l’Eurotunnel è fattibile
Negli anni ’60, ai sondaggi e rilevamenti di Thomé de Gamond si uniscono quelli di ingegneri britannici come William Low e John Hawkshaw. Alla fine del decennio, viene addirittura istituito un comitato misto anglo-francese per portare avanti il progetto. Nel 1875, i due paesi approvano leggi che autorizzano le rispettive compagnie ad iniziare i lavori. Ma appena due anni dopo, nel 1877, i progressi si arrestano di nuovo, complici problemi finanziari e una mancanza di piena prova di fattibilità.
È a questo punto che Sir Edward Watkin, membro liberale del Parlamento e presidente di ben tre grandi compagnie ferroviarie, prende in mano il progetto. Testardo e combattivo, uomo d’affari consumato con una mente attratta da grandi imprese ingegneristiche, Watkin crede appassionatamente nel potere del libero scambio. Assembla un eminente comitato consultivo scientifico e legale, ma le figure chiave sono due ufficiali del Genio militare, il colonnello Frederick Beaumont e il capitano Thomas English, che finalmente dimostrano la fattibilità del tunnel. E vanno molto oltre.
Via al cantiere
Nel 1880, Thomas English brevetta una nuova macchina perforatrice basata su un precedente progetto di Beaumont. L’anno successivo, i due perfezionano ulteriormente l’idea. Il risultato? Un trionfo dell’ingegneria: dotata di una fresa rotante che può scavare un tunnel di 2 metri di diametro alla velocità di 1 metro all’ora, e di un nastro trasportatore per la rimozione dei detriti, la macchina richiede meno di dieci uomini per funzionare. Soprattutto, essendo alimentata ad aria compressa, non solo non produce fumi pericolosi, ma può addirittura ventilare il tunnel mentre lavora.
Nell’ottobre 1880, la macchina di Beaumont ed English inizia le perforazioni di prova ad Abbot’s Cliff, vicino a Dover. Lo strato di gesso grigio in cui scava è facile da tagliare, ma praticamente impermeabile. Nel settembre successivo, dopo aver scavato 842 metri di galleria di prova, la macchina viene spostata in un nuovo sito sotto Shakespeare Cliff, il punto più vicino tra Inghilterra e Francia. Alla fine dell’anno, Watkin fonda la Submarine Continental Railway Company per sovrintendere a questo lavoro. Anche la francese Compagnie du Chemin de fer Sousmarine inizia a perforare da Sangatte, vicino a Calais, usando una versione modificata della macchina di Beaumont ed English. Per la prima volta nella storia del progetto, i minatori stanno lavorando sotto il mare.
Eurotunnel, iniziano i sogni in grande
Watkin si sente vicino al traguardo, e sogna ad occhi aperti. Immagina una ferrovia sottomarina internazionale alimentata interamente ad aria compressa, con carrozze trainate da locomotive da 80 tonnellate che ventilano il tunnel mentre viaggiano. Nel giugno 1881, annuncia alla nazione stupita che si aspetta di completare un tunnel “sperimentale” entro cinque anni, con l’obiettivo di aprire la linea negli anni ’90. L’unico ostacolo apparente è il piccolo dettaglio di far approvare al Parlamento un disegno di legge che consenta alla compagnia di scavare sotto il fondale marino, proprietà della Corona Inglese.
Ma proprio quando sembra che nulla possa fermare il tunnel di Watkin, forze fino ad allora sopite erompono sul progetto. All’insaputa del pubblico (si, c’è anche un “gombloddo” ottocentesco), nel 1881 è stato formato un comitato ufficiale, di forte impronta militare, per esaminare le implicazioni dell’Eurotunnel. Tra le prove che prende in considerazione c’è un memorandum del generale Sir Garnet Wolseley, quartiermastro generale dell’esercito.
Wolseley è un profondo reazionario con un disprezzo aperto per la visione liberale di Cobden, Gladstone e Watkin. Anziché una misurata analisi tecnica, il suo memorandum è una furiosa invettiva contro lo “specioso grido di fratellanza universale” e i “cosmopoliti egoisti”. Al posto della profezia ottimistica di Watkin sull’amicizia anglo-francese, Wolseley sostituisce la sua analisi delle relazioni interstatali, che sottolinea la natura intrinsecamente violenta e gelosa dell’umanità.
Le cose si complicano
Pessimista cronico, Wolseley crede che l’esercito britannico sia pericolosamente sottofinanziato, una situazione che attribuisce direttamente agli internazionalisti liberali. In questo contesto, la ricca e liberale Gran Bretagna è un premio da conquistare piuttosto che una civiltà da emulare. Un Eurotunnel, sostiene, sarebbe “un costante incentivo per lo straniero senza scrupoli a farci guerra”. E non si ferma a questo, nella sua “analisi”.
Wolseley sottolinea che l’uso dei treni nelle recenti guerre negli Stati Uniti e in Europa ha permesso ai generali di spostare le truppe molto più lontano e rapidamente che mai. Collegare la Gran Bretagna alla Francia, dice, esporrebbe il Regno Unito allo stesso pericolo. Senza prove, suggerisce che il tunnel potrebbe essere usato per portare cinquemila soldati all’ora nel paese. Immagina un attacco improvviso a sorpresa durante un periodo di “profonda pace”, senza preavviso né dichiarazione di guerra, “mentre noi gentiluomini d’Inghilterra siamo a letto, sognando il tempo in cui il leone e l’agnello giaceranno insieme”. Con Londra unica capitale europea non fortificata e senza un grande esercito di leva paragonabile a quelli di Francia o Germania, il Regno Unito sarebbe stato rapidamente sopraffatto. Annesso al continente e impossibilitato a ritirarsi dietro il suo fossato protettivo, il popolo britannico affronterebbe “l’annientamento nazionale”, diventando “gli iloti della Francia per sempre”.
Il problema era l’Eurotunnel o la società britannica?
Il ragionamento di Wolseley fu piuttosto pratico, anche se non sembra. La libertà personale, la bassa tassazione, il libero scambio e un esercito ridotto: erano difetti della Gran Bretagna? Pregi? Non so dirlo. So dire però che tutti questi fattori erano resi possibili dalla sicurezza offerta dalla Manica. Introducendo il pericolo, per quanto remoto, di un’invasione via terra, un Eurotunnel avrebbe diffuso una paura cui gli inglesi non erano abituati. Quella che tutte le nazioni con eserciti insignificanti provano quando sono vicine a nazioni molto potenti. Il Regno Unito avrebbe dovuto “imitare le nazioni continentali” e stabilire un sistema di coscrizione militare universale. La più grande minaccia posta da un Eurotunnel per l’epoca, alla fine, non era necessariamente l’orrore di un’invasione, ma il costo economico e sociale per scongiurarla. Oggi come allora, è sempre questione di dannati soldi.
Nel febbraio 1882, estratti del memorandum di Wolseley vengono pubblicati sulla rivista The Nineteenth Century e, nel mese successivo, lui e altri ufficiali dell’esercito e della marina conducono una campagna pubblica coordinata contro il tunnel. In questo sono aiutati dall’editore James Knowles, che organizza un numero speciale e una petizione contro il progetto, firmata da molte eminenti figure pubbliche. L’editoriale di accompagnamento di Knowles riduce le argomentazioni di Wolseley a una trinità del terrore: più spese militari, più paura diffusa, e possibilità di un’invasione. È chiaro che la questione ha colpito qualcosa di profondo nel sistema nervoso della Gran Bretagna liberale. E i “media” dell’epoca non mancano di tirare acqua dove conviene loro.
La difesa (vana) di Watkin
Sir Edward Watkin non è tipo da arrendersi facilmente. E dopo tutti gli investimenti fatti, è men che meno disposto a farlo. Per questo risponde a questi attacchi con ogni arma del suo arsenale. Incoraggia i suoi amici a scrivere e parlare a sostegno dell’Eurotunnel, e presto i giornali sono consumati da dibattiti sul progetto. I sostenitori dell’Eurotunnel sottolineano che distruggere, bloccare o allagare l’opera sarebbe facile, in caso di pericolo. Watkin impiega anche mezzi di persuasione più morbidi, invitando una vasta gamma di celebrità (oggi diremmo influencers) a visitare i lavori del tunnel sotto il mare, dove possono godersi un ricevimento con champagne ed esaminare la macchina perforatrice al bagliore delle luci elettriche.
Ma queste confutazioni non riescono ad arginare la marea dell’opinione pubblica, che, ora ossessionata dalla paura del panico, è fortemente contro il tunnel. Combattuto tra le sue convinzioni personali e l’istinto politico, Gladstone sposta la questione a un comitato parlamentare. Che non riesce a raggiungere un accordo, dividendosi sei a quattro contro il progetto. È la scusa di cui il governo ha bisogno per tirarsi fuori. Il disegno di legge sui lavori sperimentali per il tunnel sotto la Manica di Watkin viene formalmente ritirato dai Comuni il 24 luglio 1883. Quando le macchine si spengono, hanno scavato quasi 4 chilometri. Possiamo ricordarla come la data in cui il “primo” progetto di Eurotunnel è ufficialmente morto.
Eurotunnel, e poi?
La macchina scavatrice francese viene presto trasferita a Liverpool, dove scava un tunnel di ventilazione per la ferrovia del Mersey. La macchina britannica viene lasciata dov’è, a 40 metri sotto la Manica. Il nome della Submarine Continental Railway Company scompare nel 1886, quando si fonde con la Channel Tunnel Company. Watkin fa campagna vigorosamente ma inutilmente per altri otto anni. Si ritira dalle ferrovie nel 1894 e muore nel 1901.
Tutte le domande che restano
Se le obiezioni militari fossero state ritirate, il tunnel avrebbe potuto essere completato nel XIX secolo? Non è facile dirlo. Beaumont ed English hanno dimostrato come si può realizzare un tunnel sottomarino, ma i loro lavori “sperimentali” sono piccoli rispetto al progetto completo. Lo stesso Watkin ammette che probabilmente serve il sostegno statale prima che il collegamento possa essere terminato. È improbabile che i treni ad aria compressa di Beaumont siano realizzabili su larga scala, e il problema della ventilazione e manutenzione continua sarebbe stato immenso.
D’altra parte, l’emergere dei treni elettrici entro la fine del secolo avrebbe notevolmente semplificato il problema. Ciò che è certo è che la geologia era dalla loro parte. Alla fine degli anni ’80, durante la costruzione dell’attuale tunnel, una perforatrice Eurotunnel/TransManche ha intersecato la galleria del 1882 sotto il mare. I lavori del 1882 sono stati trovati a tenuta stagna, con binari e carrelli ancora al loro posto: un ricordo che persone erano già passate di lì.
In conclusione
La storia del “primo Eurotunnel” sotto la Manica è un affascinante intreccio di slancio visionario, progresso tecnologico e scontro di visioni del mondo. E, fatte le debite proporzioni, sembra accaduta ieri. Da un lato, ingegneri come Thomé de Gamond e imprenditori come Watkin vedevano nel collegamento sottomarino un simbolo di fratellanza tra i popoli e un catalizzatore del libero scambio e della pace. Dall’altro, figure militari come il generale Wolseley temevano che il tunnel avrebbe esposto la Gran Bretagna a un’invasione, minando le fondamenta stesse della società britannica.
Esattamente 90 anni dopo l’interruzione, nel 1973, iniziarono nuovi scavi. Nuovamente interrotti. Nel 1979 (elezione di Margaret Tatcher) e nel 1981 (elezione di François Mitterrand) UK e Francia pongono le basi finali per l’Eurotunnel come lo conosciamo. Altri 5 anni. Nel 1986 fu firmato l’accordo per la realizzazione. Nel 1988 la costruzione riprese, e il 1° dicembre 1990 operai e ingegneri delle due parti perforarono l’ultimo strato di roccia, abbracciandosi. Apertura dell’Eurotunnel? 6 maggio 1994.
In memoria
Anche se un Eurotunnel non fu completato nell’Ottocento, i pionieristici sforzi di Thomé de Gamond, Beaumont, English e Watkin gettarono le basi per la sua realizzazione nel secolo successivo. Le loro innovazioni ingegneristiche, come la macchina perforatrice ad aria compressa, e le loro indagini geologiche dimostrarono la fattibilità del progetto. E la loro visione di un’Europa più interconnessa e pacifica, per quanto contrastata all’epoca, anticipò gli ideali che avrebbero portato alla nascita dell’Unione Europea.
Oggi, mentre viaggiamo comodamente nell’Eurotunnel sotto la Manica sui treni Eurostar, è facile dare per scontato questo collegamento. Ma è importante ricordare le sfide tecniche e politiche che i primi fautori del tunnel dovettero affrontare, e la lungimiranza della loro visione. Possiamo ascoltare, se ci sforziamo, l’equivalente dei “commenti Facebook” dell’epoca, mentre svalutano l’opera e dicono che non si realizzerà mai. Non è stato così.
La storia che vi ho raccontato ricorda che ogni grande progresso è il frutto di sogni audaci, duro lavoro e perseveranza di fronte agli ostacoli. E che a volte, le idee che sembrano più utopistiche possono diventare le fondamenta del nostro futuro.